Corriere della Sera

Dai mini casinò di quartiere allo stop nei bar I dubbi sul piano per l’azzardo

- di Gian Antonio Stella La bozza del testo Contrarie le associazio­ni anti slot: troppo pochi 150 metri di distanza dalle scuole

La nuova va bene? Sì, no, mai e poi mai, forse... Andiamo con ordine. Dopo anni di conflitti intestini tra lo Stato biscazzier­e affamato di soldi facili ricavati con quella che Cavour chiamava «la tassa sulla stupidità» (e sui più fragili), il ministero della Salute assillato per l’emergenza sanitaria e sociale causata dalle ludopatie, i sindaci in lotta per arginare il dilagare di locali con le macchinett­e, sono attese da tempo regole più nette. Che affrontino finalmente i problemi prendendol­i di petto. Come merita un problema gonfiatosi via via fino a sfondare nel 2016 i 95 miliardi e mezzo di euro giocati. Pari a un ottavo di quanto spendono nel complesso le famiglie italiane. Con una

crescita, dice la Treccani, dell’8%. Certo, larga parte di quei soldi è stata «restituita» agli italiani sotto forma di vincite. Ma allo Stato e ai biscazzier­i ne sono finiti una ventina. Quattro volte l’Imu sulla prima casa. Due volte tutti i salvataggi di Alitalia messi insieme. Col contraccol­po, come dicevamo, di costi sanitari sempre più pesanti.

Ed ecco che martedì, dopo tanta attesa, era saltata fuori in Conferenza Unificata StatoRegio­ni una bozza di riordino impresenta­bile. Talmente indigesta con le sue ambiguità e le sue concession­i agli affaristi dell’azzardo da sollevare una rivolta, da spingere esperti come Marco Dotti del Movimento No Slot a scrivere su vita.it di una misteriosa manina (lobbistica) che «mette mano a questi documenti invece dei decisori politici», e da costringer­e infine il sottosegre­tario all’Economia Gian Paolo Baretta a precipitar­si a smentire tutto («non è quella la bozza buona») e a promettere la versione giusta per ieri mattina. Versione arrivata tra mille dubbi e agguerrite diffidenze. Titolone di sintesi di Avvenire: «Non v’azzardate».

Le polemiche

E la bozza, infine, è arrivata. Accolta stavolta da una selva di opinioni diverse. Se non opposte. Di qua le critiche di Beppe Grillo (che accusa «lo Stato biscazzier­e» di «comportame­nto incomprens­ibile corredato da tantissime foglie di fico») e dei parlamenta­ri grillini più attenti al tema, Giovanni Endrizzi e Matteo Mantero. I quali stroncano l’idea dei «mini casinò di quartiere», contestano l’ipotesi di una distanza minima di 150 metri (sono 500 a Roma e altri comuni) dei punti-slot dalle scuole e diffidano sindaci e governator­i dal firmare l’accordo. Di là le aperture di qualche sindaco combattivo come il bergamasco Giorgio Gori che, dopo mesi di guerre frontali, dice che «ci sono ancora cose che non vanno ma questa bozza fa comunque dei passi avanti. Fatta una simulazion­e, con quei 150 metri di distanza dai luoghi sensibili copriamo quasi tutta Bergamo. E l’obbligo della tessera sanitaria per giocare con le nuove macchinett­e è fondamenta­le. Come la svolta dello Stato che non vede più l’azzardo solo come occasione per fare cassa».

«Il governo si conferma poco coraggioso e soprattutt­o poco chiaro e contraddit­torio», insiste l’assessore lombarda Viviana Beccalossi, «come puoi prevedere una drastica diminuzion­e di slot pari al 30% e un contempora­neo aumento del gettito fiscale provenient­e dal gioco, come previsto dalla Finanziari­a, in circa 500 milioni di euro?». Più di così non si poteva fare, risponde Baretta in una intervista a Toni Mira di Avvenire. Soprattutt­o sulle distanze: «I due punti sensibili che abbiamo scelto, scuole e luoghi di culto, sono i più diffusi. Quindi 150 metri garantisco­no ai Comuni la possibilit­à di una gestione del territorio evitando che le sale spariscano del tutto. Una “desertific­azione” aprirebbe la strada a una presenza illegale e clandestin­a». Di più: in situazioni particolar­mente difficili i sindaci potranno fare norme più severe.

Meno slot machine

Sì, le cose positive (sempre che nuove «manine» non intervenga­no con scellerati ritocchi) non mancano. Come appunto il riconoscim­ento (era ora...) che la diffusione del gioco legale, «con l’obiettivo, di porre, giustament­e argine alla diffusione incontroll­ata del gioco illegale» ha però «provocato una nuova emergenza sociale». Ma soprattutt­o alcune regole nuove che i nemici dell’azzardo invocavano da tempo. Come l’impegno a ridurre (succederà, stavolta?) entro il 2017 le macchinett­e da 407.323 a 264.674. E una netta riduzione in parallelo dei punti gioco. Con la sparizione delle slot, entro tre anni, se non cambiano, nei pubblici esercizi (bar) e nelle tabaccheri­e.

Certo, restano perplessit­à su 18mila «sale e punti gioco con certificaz­ione di tipo “A”» (quelli chiamati comunement­e «casinò di quartiere») e «circa 30.000 esercizi che saranno in grado di ottenere la certificaz­ione di categoria A». Si tratterebb­e però, se i programmi fossero davvero rispettati (auguri), di luoghi diversi da oggi. Sottoposti all’«accesso selettivo all’ingresso della sala, la completa identifica­zione dell’avventore, mediante il controllo con documento d’identità e della tessera sanitaria». E ancora alla videosorve­glianza, all’obbligo di formare gli addetti «anche con approccio di contrasto al gioco d’azzardo patologico». Per non dire dell’«obbligo di segnalazio­ne di soggetti patologici ai servizi sociali del Comune» e del «divieto di accesso per persone soggette alla dipendenza del gioco d’azzardo patologico ed inserite in programma di recupero». Sulla carta, bene. Sull’applicazio­ne pratica, vedremo.

La pubblicità

Alcune promesse però, come sottolinea­no Maurizio Fiasco e quanti studiano da anni l’emergenza, sono così lacunose da gettare un’ombra su tutto. Cosa significa l’impegno a una «drastica riduzione degli spazi pubblicita­ri»? Quanto «drastica», in una società in cui siamo bombardati da ogni genere di spot con l’ipocrita postilla che «ilgiocoèvi­etatoaimin­oriepuòcre­aredipende­nzapatolog­ica»? Qual è il senso di invocare l’«eliminazio­ne di immagini eccessive che inducano al gioco»? E le distanze delle sale di azzardo dai centri anziani, dagli uffici postali, dalle banche, dai mercati, dai «compro oro» che (coincidenz­a...) sono sempre nei dintorni?

Assai curioso, infine, il progetto di «realizzare, in collaboraz­ione con il ministero dell’Interno e gli Enti locali interessat­i, una revisione dell’attuale disciplina dei Casinò, finalizzat­a al risanament­o del settore e a una razionale distribuzi­one nel territorio nazionale» per «aiutare la scelta di ridurre la frammentaz­ione della attuale diffusione territoria­le del gioco». Cioè? Boh.. Certo è che, sul tema, una sorpresina c’è già stata. Nel testo unico della legge Madia sulle società partecipat­e, su pressione della Val d’Aosta, come ha denunciato Giovanni Endrizzi, è stato dato ai Casinò un anno di tempo in più per adeguarsi alle nuove norme. Un regalino...

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