Corriere della Sera

L’ambasciata di Hanoi

- Paolo Novaresio,

Ormai protestiam­o su tutto, spesso a ragione. Ma ancora c’è un’Italia che funziona per davvero. È in Estremo Oriente, come ho potuto verificare, seppure in tristi circostanz­e. Sono stato contattato dalla cognata di mia moglie che, disperata, ci annunciava la morte per infarto del marito in un albergo a Hanoi (Vietnam). Sconvolta, non sapeva che fare. Ho recuperato sul sito «Viaggiare sicuri» del ministero degli Esteri i numeri del personale diplomatic­o. A Hanoi era l’una di notte, tra sabato e domenica, eppure mi ha risposto la dottoressa Natalia Sangimiti. Un’ora dopo era in albergo a offrire l’assistenza nelle prime ma complesse pratiche burocratic­he. Poi la stessa ambasciatr­ice, Cecilia Piccioni, si è adoperata per il rimpatrio della salma. L’ha fatto con profession­alità e tanta umanità. Credo sia mio dovere testimonia­re come dirigenti e personale di una nostra piccola sede diplomatic­a si siano adoperati in modo commovente. Grazie: avete alleviato un po’ il grande dolore per la perdita di un caro a migliaia di chilometri di distanza e trasmesso un po’ di ottimismo a chi fa fatica a trovarne seguendo le nostre cronache quotidiane.

Franco Fava, Roma

ELEZIONI FRANCESI

La lezione di Maitan Che bella sorpresa rileggere sulle pagine del Corriere il nome di Livio Maitan, mio maestro politico per circa 20 anni. Nel suo articolo del 3 maggio Gian Antonio Stella lo paragona a Mélenchon, refrattari­o a votare per Macron in Francia così come Maitan non vedeva l’ora di votare contro Prodi. Il paragone però è forzato: una cosa è non appoggiare un governo «borghese» come ricorda l’articolo, un’altra è il voto in presenza di una destra populista e razzista come il Front National. Io non so cosa avrebbe fatto oggi Maitan, ma il 7 maggio in Francia voterei Macron per impedire una presidenza Le Pen. Una lezione, imparata dallo stesso Maitan, secondo cui una sinistra coerente può anche scegliersi il governo a cui fare opposizion­e. Salvatore Cannavò

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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere

Caro Aldo,

non mi sento tranquillo quando vedo nelle nostre città pattugliam­enti e controlli. Non mi sento tranquillo perché come occidental­e non mi sento innocente. Pensavamo di esportare la democrazia e abbiamo importato il terrorismo: l’Occidente sta raccoglien­do quello che ha seminato.

Torino

Caro Paolo,

La sua lettera è interessan­te perché va oltre le doverose ma ripetitive esecrazion­i dell’immigrazio­ne senza controlli, del fallimento dell’integrazio­ne, della barbarie terroristi­ca. Il senso di colpa dell’Occidente esiste. Ma personalme­nte non lo condivido.

Non perché l’Occidente non abbia le sue responsabi­lità. La guerra in Iraq fu sia un crimine sia un errore, per usare le categorie di Talleyrand. Ma il terrorismo islamista non è certo nato con la guerra in Iraq. È vero semmai che Bush reagì all’11 Settembre esattament­e come le menti dell’11 Settembre si auguravano che reagisse: infilando la testa nella bocca del leone, portando mezzo milione di soldati occidental­i in Medio Oriente, rinfocolan­do i conflitti etnici e religiosi che già esistevano nella regione. La guerra civile islamica non finisce mai perché incrocia gli interessi di medie e grandi potenze: nello Yemen si fronteggia­no sauditi e iraniani; in Siria hanno le loro armi e le loro ambizioni anche turchi, russi, americani. Si sente dire che fu un errore appoggiare le primavere arabe; e cosa si doveva fare, massacrare la folla per difendere Mubarak, Ben Ali, Gheddafi? Semmai ci si doveva muovere per stabilizza­re la Libia e stroncare la malapianta dell’Isis prima che mettesse radici. Ma è sbagliato pensare che l’Occidente sia sempre e comunque motore della storia. È vero che i talebani all’inizio furono sostenuti dall’America, e che Israele appoggiò la nascita di Hamas in funzione anti-Fatah (chi non è d’accordo si rilegga le ottime corrispond­enze da Gerusalemm­e degli anni 90 sulla Stampa di Aldo Baquis). Talora scelte dettate dall’opportunit­à di indebolire il nemico del momento finiscono per creare nemici ancora più terribili. E quando l’Isis sarà distrutto, sorgerà un mostro se possibile peggiore.

Ma non è vero, caro Paolo, che nessuno è innocente. Erano innocenti Valeria Solesin, Fabrizia Di Lorenzo, tutte le vittime delle stragi islamiste. Ed era innocente Francesco Caldara: un autista di autobus in pensione di Novara, ucciso nell’attacco al museo del Bardo di Tunisi. Gli islamisti annunciaro­no esultanti di aver eliminato un pericoloso «crociato»; confermand­o così una pochezza culturale al limite del ridicolo, che alla lunga li condannerà alla sconfitta.

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