L’ambasciata di Hanoi
Ormai protestiamo su tutto, spesso a ragione. Ma ancora c’è un’Italia che funziona per davvero. È in Estremo Oriente, come ho potuto verificare, seppure in tristi circostanze. Sono stato contattato dalla cognata di mia moglie che, disperata, ci annunciava la morte per infarto del marito in un albergo a Hanoi (Vietnam). Sconvolta, non sapeva che fare. Ho recuperato sul sito «Viaggiare sicuri» del ministero degli Esteri i numeri del personale diplomatico. A Hanoi era l’una di notte, tra sabato e domenica, eppure mi ha risposto la dottoressa Natalia Sangimiti. Un’ora dopo era in albergo a offrire l’assistenza nelle prime ma complesse pratiche burocratiche. Poi la stessa ambasciatrice, Cecilia Piccioni, si è adoperata per il rimpatrio della salma. L’ha fatto con professionalità e tanta umanità. Credo sia mio dovere testimoniare come dirigenti e personale di una nostra piccola sede diplomatica si siano adoperati in modo commovente. Grazie: avete alleviato un po’ il grande dolore per la perdita di un caro a migliaia di chilometri di distanza e trasmesso un po’ di ottimismo a chi fa fatica a trovarne seguendo le nostre cronache quotidiane.
Franco Fava, Roma
ELEZIONI FRANCESI
La lezione di Maitan Che bella sorpresa rileggere sulle pagine del Corriere il nome di Livio Maitan, mio maestro politico per circa 20 anni. Nel suo articolo del 3 maggio Gian Antonio Stella lo paragona a Mélenchon, refrattario a votare per Macron in Francia così come Maitan non vedeva l’ora di votare contro Prodi. Il paragone però è forzato: una cosa è non appoggiare un governo «borghese» come ricorda l’articolo, un’altra è il voto in presenza di una destra populista e razzista come il Front National. Io non so cosa avrebbe fatto oggi Maitan, ma il 7 maggio in Francia voterei Macron per impedire una presidenza Le Pen. Una lezione, imparata dallo stesso Maitan, secondo cui una sinistra coerente può anche scegliersi il governo a cui fare opposizione. Salvatore Cannavò
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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere
Caro Aldo,
non mi sento tranquillo quando vedo nelle nostre città pattugliamenti e controlli. Non mi sento tranquillo perché come occidentale non mi sento innocente. Pensavamo di esportare la democrazia e abbiamo importato il terrorismo: l’Occidente sta raccogliendo quello che ha seminato.
Torino
Caro Paolo,
La sua lettera è interessante perché va oltre le doverose ma ripetitive esecrazioni dell’immigrazione senza controlli, del fallimento dell’integrazione, della barbarie terroristica. Il senso di colpa dell’Occidente esiste. Ma personalmente non lo condivido.
Non perché l’Occidente non abbia le sue responsabilità. La guerra in Iraq fu sia un crimine sia un errore, per usare le categorie di Talleyrand. Ma il terrorismo islamista non è certo nato con la guerra in Iraq. È vero semmai che Bush reagì all’11 Settembre esattamente come le menti dell’11 Settembre si auguravano che reagisse: infilando la testa nella bocca del leone, portando mezzo milione di soldati occidentali in Medio Oriente, rinfocolando i conflitti etnici e religiosi che già esistevano nella regione. La guerra civile islamica non finisce mai perché incrocia gli interessi di medie e grandi potenze: nello Yemen si fronteggiano sauditi e iraniani; in Siria hanno le loro armi e le loro ambizioni anche turchi, russi, americani. Si sente dire che fu un errore appoggiare le primavere arabe; e cosa si doveva fare, massacrare la folla per difendere Mubarak, Ben Ali, Gheddafi? Semmai ci si doveva muovere per stabilizzare la Libia e stroncare la malapianta dell’Isis prima che mettesse radici. Ma è sbagliato pensare che l’Occidente sia sempre e comunque motore della storia. È vero che i talebani all’inizio furono sostenuti dall’America, e che Israele appoggiò la nascita di Hamas in funzione anti-Fatah (chi non è d’accordo si rilegga le ottime corrispondenze da Gerusalemme degli anni 90 sulla Stampa di Aldo Baquis). Talora scelte dettate dall’opportunità di indebolire il nemico del momento finiscono per creare nemici ancora più terribili. E quando l’Isis sarà distrutto, sorgerà un mostro se possibile peggiore.
Ma non è vero, caro Paolo, che nessuno è innocente. Erano innocenti Valeria Solesin, Fabrizia Di Lorenzo, tutte le vittime delle stragi islamiste. Ed era innocente Francesco Caldara: un autista di autobus in pensione di Novara, ucciso nell’attacco al museo del Bardo di Tunisi. Gli islamisti annunciarono esultanti di aver eliminato un pericoloso «crociato»; confermando così una pochezza culturale al limite del ridicolo, che alla lunga li condannerà alla sconfitta.