Marche, la casa dei geni
Qui sono nati e hanno vissuto Raffaello, Giacomo Leopardi e Federico da Montefeltro: una terra straordinaria vista con gli occhi del «Corriere della Sera»
i casa in casa. Da quella di Rossini a Pesaro, alle dimore di Raffaello e Federico da Montefeltro a Urbino, fino al palazzo di Giacomo Leopardi, a Recanati. Ma sulla strada visiteremo anche la santa casa dove visse Gesù, trasportata in volo dagli angeli, come vuole la devozione popolare, da Nazareth a Loreto. Ed entreremo anche nelle straordinarie grotte di Frasassi, spettacolare salone di stalattiti e stalagmiti in cui potrebbe tranquillamente entrare il duomo di Milano. Poi gran finale a Macerata dove ci aspettano due serate all’opera con «Turandot» e «Madama Butterfly», sotto il cielo stellato dello Sferisterio. sfondo dei ritratti del duca e della duchessa di Urbino. Due parchi nazionali, quattro parchi regionali, sei riserve naturali, le magnifiche grotte di Frasassi e la gola del Furlo dove passava la via tracciata nel 220 a.C. dal console Flaminio per unire Roma a Rimini. E poi i santuari, le abbazie medievali e le rocche rinascimentali costruite da Francesco di Giorgio Martini, genio dell’architettura militare al servizio di Federico da Montefeltro e Giovanni della Rovere. Fa impressione immaginare che al centro di questo paesaggio ancora oggi agricolo, costellato di case coloniche di mattoni dove abitavano i contadini a mezzadrìa, nel castello di Urbino si dava convegno la corte più raffinata del Rinascimento, rimpianta dal Baldassar Castiglione nel suo celebre «Libro del Cortegiano».
Sono molte le Marche, eppure proprio questa pluralità le ha rese uniche. Qui non si sono fermate generazioni di inglesi e americani che, a caccia di camere con vista sull’Arno, hanno finito per trasformare il territorio in una cartolina ad uso turistico. All’indomani dell’unità d’Italia, nel 1861, su e giù per le colline marchigiane coperte di querce centenarie transitava a dorso d’asino un giovane storico dell’arte: Giovan Battista Cavalcaselle, incaricato di redigere il catalogo delle opere d’arte dell’Umbria e delle Marche appartenute allo Stato della Chiesa. Nei taccuini annotava i nomi di Bellini (vedremo la sua celebre pala nei musei civici di Pesaro), di Crivelli, Barocci, Lorenzo Lotto (a Recanati ci aspetta la sua eccentrica «Annunciazione» con il gatto che fugge spaventato alla vista dell’Angelo) e decideva di far restaurare una piccola, enigmatica tavoletta con una «Flagellazione di Cristo», allora conservata nel duomo di Urbino, che attribuì a Piero della Francesca.
Sono terre che hanno preservato l’atavica severità rurale, e dove ancora oggi si percorrono strade bianche fra colline di girasole come dentro un quadro di Van Gogh. L’industria del divertimento non ha sfruttato le spiagge come nel litorale romagnolo e le campagne non hanno subìto lo sfregio dei capannoni industriali. Eppure le Marche sono anche un florido distretto produttivo che ha saputo però svilupparsi secondo un modello economico-imprenditoriale sostenibile con i suoi ventotto distretti ad alta specializzazione, derivati dall’evoluzione di precedenti attività artigianali: la carta e gli elettrodomestici a Fabriano; i mobili e le motociclette a Pesaro; la farmaceutica e i cantieri navali ad Ancona; gli strumenti musicali (portati nei palchi di tutto il mondo persino dai Pink Floyd e dai Beatles) a Castelfidardo; le calzature fra Fermo e Macerata. È l’armonia la quintessenza delle Marche, la qualità con cui hanno saputo gestire il cambiamento dall’economia agricola, dominante ancora fino a cinquant’anni fa, a quella industriale e turistica. Una popolazione di un milione e mezzo di abitanti, uno in meno di quelli della sola Roma, che ha avuto la saggezza di preservare le bellezze artistiche e naturali grazie anche a personaggi come Gino Girolomoni. Negli anni Settanta, a Isola del Piano, a due passi dal castello di Urbino, dava vita a uno dei primi esperimenti di coltivazione biologica in Italia, fondando la cooperativa Alce Nero, ceduta nel 2004. Il suo era un progetto spirituale e di vita e a questo scopo restaurò l’antico monastero abbandonato di Montebello per farne luogo di incontri tra contadini e persone impegnate nel campo religioso, sociale e politico come Sergio Quinzio, Massimo Cacciari, Guido Ceronetti, Paolo Volponi, Ivan Illich. Ci fermeremo a mangiare biologico nella sua casa agriturismo assieme ai figli e il giorno dopo, siccome sarà un viaggio al centro del piacere dell’armonia, faremo anche tappa a Senigallia, a pranzo da un grande chef stellato. Per gli appassionati del climbing l’appuntamento dell’anno è in Valtellina dall’11 al 14 maggio. Per Melloblocco, il 14°raduno mondiale dei «sassisti». Parliamo degli arrampicatori sportivi che si cimentano su massi naturali. Quello chiamato in gergo come bouldering. Un successo anche per la precedente edizione che ha visto partecipare più di 3 mila atleti e 8 mila appassionati. Le rocce da scalare si trovano in Val Masino e nelle Riserva naturale di Val Mello. Definita per le somiglianze di natura e territorio lo Yosemite Park italiano. Per quanto riguarda l’alloggio, nello stile degli scalatori si dorme in tende attrezzate negli appositi campi. Chi volesse invece un solido letto può optare per una delle strutture ricettive della Valtellina. Tante le soluzioni prenotabili online. Si va dai B&b, agli agriturismo con pranzi e cene a chilometro zero. Nel corso dell’evento di tengono manifestazioni collaterali come YogAscent. Si tratta di sessioni pratiche sulle tecniche Yoga tenute dall’istruttore Alberto Milani. La particolarità? Si svolgono sulla sommità di sasso Remenno, il più alto della zona. L’obiettivo è quello di scoprire le affinità tra pratiche di meditazione orientale e arrampicata. Per partecipare a una sessione è bene prenotarsi. Info su www.melloblocco.it. E per chi climber non è, la Valtellina ha in serbo altre proposte per godersi la montagna. Come un tranquillo soggiorno al nuovo Rifugio Zoia. Immerso nella natura di alta quota, un luogo ideale per disintossicarsi dallo stress della città. Siamo a duemila metri. In località Campo Moro nel cuore del Gruppo del Bernina, su una piccola altura che regala un panorama mozzafiato sui monti e sulla valle. Il vantaggio è di trovarsi a pochi minuti a piedi dal parcheggio. Il Rifugio rappresenta un crocevia dei diversi sentieri che consentono di raggiungere, con vari livelli di difficoltà, i luoghi più interessanti della Valmalenco. Ma lo Zoia è anche un bike hotel. Dove al soggiorno si combinano escursioni all’aria aperta, per gli amanti della bici. Con tanto di mini officina per piccole manutenzioni e possibilità di ricarica delle batterie per chi viaggia in mountain bike elettrica. Oltre alle camerate, disponibili stanze singole da 47 euro a notte, prima colazione inclusa. (U.Tor.)