Perché il monogusto distrugge i cibi che amiamo
Cioccolato, ma anche banane e pane sono a rischio estinzione Lo dice la scrittrice Simran Sethi nel suo libro «Bread, Wine, Chocolate»: ogni giorno tendiamo a scegliere sempre le stesse cose per nutrirci, e così rischiano di scomparire i prodotti che ci a
nascondono l’uso di pochi ingredienti, uguali o molto simili tra loro.
«Il caffè, il cioccolato, il pane, la frutta, le versioni migliori di ogni cibo a cui teniamo sono in pericolo. Mentre discutiamo di Ogm e dei benefici della dieta paleo, o contiamo le calorie e facciamo la coda per i croissant, perdiamo le basi del cibo», spiega. «Esistono oltre mille varietà di banane, eppure quella che si trova normalmente nei negozi di tutto il mondo è la Cavendish, non è la migliore per consistenza e gusto ma quella più resistente», aggiunge. E le mele più comuni oggi in vendita Come si crea il blog di food perfetto? Oggi a «Taste of Milano», alle 19.30, Angela Frenda, food editor del Corriere, ne parla con due dei vincitori del Cucina Blog Award: Naturalmente Buono e gli Gnambox sono sei, tra cui Granny Smith, Gala, Fuji e la Red Delicious, «diffusa — dice — perché ornamentale e non per il sapore». Oggi in tutto il mondo se ne coltivano ancora 7.700 tipologie, ma meno di 100 arrivano, ad esempio, nel mercato Usa.
I numeri parlano da soli. Secondo la Fao il 95 per cento delle calorie proviene oggi da 30 specie. Dei 30 e più volatili e mammiferi domesticati per fornire cibo, solo 14 danno il 90 per cento degli alimenti che ricaviamo dal bestiame. Coltiviamo diffusamente appena 150 delle 30 mila specie di piante commestibili. «E se smettiamo di coltivarle smettiamo di mangiarle — spiega — e pian piano scompaiono. Così alla perdita genetica si accompagna l’erosione culturale e vengono meno anche le tradizioni culinarie: l’estinzione, del resto, è un processo che avviene un pasto alla volta». Questa riduzione di varietà, inoltre, ci pone in una posizione sempre più vulnerabile, in cui l’aumento delle temperature, o un’unica malattia o insetto nocivo possono mettere a rischio ciò che coltiviamo, alleviamo e mangiamo.
«Per tutelare la diversità e facilitare il cambiamento — dice — è importante che si inizi a pensare in modo diverso al cibo nei campi e nel piatto e si diventi più selettivi riguardo la sua provenienza». Dobbiamo chiederci da dove viene il caffè che gustiamo nelle nostre tazzine, capire la differenza tra un tipo e un altro e come sia difficile portare ogni singolo chicco, ad esempio, dalle foreste dell’Etiopia al bar sotto casa. O di quanto lavoro e quanta cura occorrano per produrre una buona pagnotta di pane integrale e della storia che c’è dietro alle sue tante tipologie, come quello sacro indiano. «Ogni alimento esprime aromi direttamente legati ai luoghi e alle persone che lo producono. Una volta imparate a riconoscere e apprezzare queste differenze, è cambiato il mio modo di mangiare e selezionare il cibo», racconta. «Fino a qualche anno fa tutto ciò che sapevo del caffè era che preferivo il cappuccino al caffelatte. Ma oggi tormento i baristi Il 90% dei barattoli di yogurt è realizzato con il latte di una sola razza bovina
sulle sue origini, prego gli amici di portarmi il cioccolato dai vari Paesi in cui vanno e interrogo i birrifici sulla provenienza dei loro luppoli».
La rivoluzione nasce nei nostri piatti, operando cambiamenti semplici, basati sulla conoscenza. «La strada per riprenderci il potere di scegliere — spiega — parte dal capire perché mangiamo ciò che mangiamo e dal renderci conto di cosa stiamo perdendo, in modo da sapere che cosa rivendicare».
@gabriprinc