Corriere della Sera

Perché il monogusto distrugge i cibi che amiamo

Cioccolato, ma anche banane e pane sono a rischio estinzione Lo dice la scrittrice Simran Sethi nel suo libro «Bread, Wine, Chocolate»: ogni giorno tendiamo a scegliere sempre le stesse cose per nutrirci, e così rischiano di scomparire i prodotti che ci a

- Gabriele Principato

nascondono l’uso di pochi ingredient­i, uguali o molto simili tra loro.

«Il caffè, il cioccolato, il pane, la frutta, le versioni migliori di ogni cibo a cui teniamo sono in pericolo. Mentre discutiamo di Ogm e dei benefici della dieta paleo, o contiamo le calorie e facciamo la coda per i croissant, perdiamo le basi del cibo», spiega. «Esistono oltre mille varietà di banane, eppure quella che si trova normalment­e nei negozi di tutto il mondo è la Cavendish, non è la migliore per consistenz­a e gusto ma quella più resistente», aggiunge. E le mele più comuni oggi in vendita Come si crea il blog di food perfetto? Oggi a «Taste of Milano», alle 19.30, Angela Frenda, food editor del Corriere, ne parla con due dei vincitori del Cucina Blog Award: Naturalmen­te Buono e gli Gnambox sono sei, tra cui Granny Smith, Gala, Fuji e la Red Delicious, «diffusa — dice — perché ornamental­e e non per il sapore». Oggi in tutto il mondo se ne coltivano ancora 7.700 tipologie, ma meno di 100 arrivano, ad esempio, nel mercato Usa.

I numeri parlano da soli. Secondo la Fao il 95 per cento delle calorie proviene oggi da 30 specie. Dei 30 e più volatili e mammiferi domesticat­i per fornire cibo, solo 14 danno il 90 per cento degli alimenti che ricaviamo dal bestiame. Coltiviamo diffusamen­te appena 150 delle 30 mila specie di piante commestibi­li. «E se smettiamo di coltivarle smettiamo di mangiarle — spiega — e pian piano scompaiono. Così alla perdita genetica si accompagna l’erosione culturale e vengono meno anche le tradizioni culinarie: l’estinzione, del resto, è un processo che avviene un pasto alla volta». Questa riduzione di varietà, inoltre, ci pone in una posizione sempre più vulnerabil­e, in cui l’aumento delle temperatur­e, o un’unica malattia o insetto nocivo possono mettere a rischio ciò che coltiviamo, alleviamo e mangiamo.

«Per tutelare la diversità e facilitare il cambiament­o — dice — è importante che si inizi a pensare in modo diverso al cibo nei campi e nel piatto e si diventi più selettivi riguardo la sua provenienz­a». Dobbiamo chiederci da dove viene il caffè che gustiamo nelle nostre tazzine, capire la differenza tra un tipo e un altro e come sia difficile portare ogni singolo chicco, ad esempio, dalle foreste dell’Etiopia al bar sotto casa. O di quanto lavoro e quanta cura occorrano per produrre una buona pagnotta di pane integrale e della storia che c’è dietro alle sue tante tipologie, come quello sacro indiano. «Ogni alimento esprime aromi direttamen­te legati ai luoghi e alle persone che lo producono. Una volta imparate a riconoscer­e e apprezzare queste differenze, è cambiato il mio modo di mangiare e selezionar­e il cibo», racconta. «Fino a qualche anno fa tutto ciò che sapevo del caffè era che preferivo il cappuccino al caffelatte. Ma oggi tormento i baristi Il 90% dei barattoli di yogurt è realizzato con il latte di una sola razza bovina

sulle sue origini, prego gli amici di portarmi il cioccolato dai vari Paesi in cui vanno e interrogo i birrifici sulla provenienz­a dei loro luppoli».

La rivoluzion­e nasce nei nostri piatti, operando cambiament­i semplici, basati sulla conoscenza. «La strada per riprenderc­i il potere di scegliere — spiega — parte dal capire perché mangiamo ciò che mangiamo e dal renderci conto di cosa stiamo perdendo, in modo da sapere che cosa rivendicar­e».

@gabriprinc

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