«Caro Marziano»: la scommessa di Pif e i rischi dell’ideologia
Scommessa importante quella affrontata da Pif e totale cambio di registro, o quasi. «Caro Marziano» è il nuovo programma ideato da Pierfrancesco Diliberto, che firma insieme a Luca Monarca la striscia giornaliera prodotta da Wildside (Rai3, ore 20.35, 38 puntate di 12’).
Sono commenti filmati costruiti su fatti di cronaca, su storie dolorose di ieri e di oggi. Sono racconti italiani, messaggi in bottiglia confezionati per gli alieni (gli alieni siamo noi) che un po’ riecheggiano precedenti esperienze, come «La cartolina» di Andrea Barbato o «Il portalettere» di Piero Chiambretti (per non parlare, ovviamente, di Ennio Flaiano). Nella prima puntata Pif ha intervistato Margherita Asta: la madre Barbara e i due fratelli, i gemellini Salvatore e Giuseppe, morirono il 2 aprile 1985 nell’attentato che Cosa nostra tese al magistrato Carlo Palermo a Pizzolungo.
Per una tragica fatalità, l’auto della donna, che aveva a bordo i figli più piccoli, fece da scudo alla vettura del giudice, che uscì miracolosamente illeso dall’attentato. L’ironia è sempre stata l’arma con cui Pif ha affrontato i temi più svariati, con una dote originale che potremmo chiamare «l’impertinenza sfumata», quella sensibilità di sapersi arrestare un attimo prima che il racconto sia sopraffatto dal rigorismo sociologico o dalla sollecitudine moralistica. Negli anni, Pif ha affinato una tecnica di pedinamento del tutto particolare: non è mai stato un vendicatore, mai un comico prestato al sociale. Per ribaltare ai nostri occhi il mondo che descrive, si fa prima complice, mette in mostra la propria finta sprovvedutezza, affila le armi senza mai mostrarle: piccole osservazioni, graffi, capovolgimenti.
Da un po’ di tempo si va savianizzando: s’incammina per le strade di discorsi sistematici, alza il ditino, rischia di darsi alle televendite dell’ideologia. Rischia, ho scritto. Perché spero vivamente che le prossime puntate mi smentiscano.