La Francia vota, Europa al bivio
L’ultimo sondaggio dà Macron al 62% e Le Pen al 38%. Il peso degli indecisi
C’è un episodio rivelatore del caso Macron. Lunedì scorso il candidato ha interrotto il consueto comizio, ha assunto un atteggiamento da conversazione tra amici, e ha detto a diecimila persone: «Vi racconto una storia. Voi sapete che io sono stato vicino a Paul Ricoeur, il filosofo. Nel ’68 il mio futuro maestro era rettore dell’università di Nanterre. Un giorno uno studente gli rovesciò il secchio dell’immondizia sulla testa. Ricoeur gli chiese: “Perché mi fai questo?”. E l’altro: “Perché non ti riconosco un’autorità su di me”. Ricoeur: “La mia autorità su di te viene dal fatto che ho letto più libri».
Ecco, citare un episodio del genere a pochi giorni dal voto è davvero una sfida allo spirito del tempo. Anche perché poi Macron ha infierito sugli «anonimi che dietro una maschera scrivono sui social qualsiasi cosa. Invece bisogna distinguere. Le parole non hanno tutte lo stesso peso. Ci sono quelli che sanno, e quelli che non sanno. Ci sono quelli di talento, e quelli senza talento». Lui ovviamente si inscrive tra «color che sanno» (ma forse esagera: ognuno ha la sua forma di talento, anche se quasi mai consiste nello scrivere di filosofia o di scienza sui social). E ama circondarsi di persone che gli assomigliano: ha conosciuto l’amico della vita, Marc Ferracci, sui banchi di Sciences Po, con lui ha preparato l’esame di ammissione all’Ena; ora Ferracci è il consigliere economico, sua moglie Sophie è il capo di gabinetto.
L’alfiere di Uber
Marine Le Pen è apparsa quasi incredula, trovandosi di fronte in tv gli occhioni azzurri di Macron, il trentanovenne primo della classe, un po’ miracolo un po’ miracolato. E l’ha descritto come l’alfiere dell’ «uberizzazione» della Francia. Uber in effetti ha messo radici qui quando Macron era ministro: l’unica categoria di parigini che voterà in massa Marine sono i tassisti, tranne quelli di origine maghrebina e africana. Ma Uber per la donna del Front National è anche la metafora della precarietà, della frammentazione sociale, del trionfo mercatista.
L’ascesa di Macron completa la metamorfosi della sinistra riformista: uno schieramento di laureati, borghesi, abitanti delle grandi città, padroni dell’inglese e delle tecnologie, fiduciosi nel mondo globale e nel futuro, ottimisti, spesso giovani; ma anche pensionati che non intendono giocarsi i risparmi in esperimenti sovranisti tipo il ritorno al franco. Però è una sinistra che non intercetta più il voto popolare; non a caso Mélenchon, leader dei radicali, rifiuta di sostenere Macron. In compenso, per lui si è mobilitato il sistema.
È vero, non si sente lo spirito del 2002, quando un milione e mezzo di francesi sfilò contro Jean-Marie Le Pen, che al ballottaggio prese in pratica gli stessi voti del primo turno; ora la figlia punta a raddoppiare il suo 21,3%, e a Parigi gli unici assembramenti sono le code nelle strade chiuse per un falso allarme-terrorismo. Però tutti i media sono schierati apertamente per Macron; il quotidiano Présent ha potuto definirsi sulla locandina «l’unico giornale di Francia che appoggia Marine». Ha preso posizione l’intero appa-
E lui, il primo della classe (un po’ miracolo e un po’ miracolato), finora ha dimostrato coraggio. Elogiando «coloro che sanno»
rato produttivo francese, dai missili ai macaron: Le Figaro, controllato dai Dassault (armi), si batte da leone; e Françoise Holder, proprietaria di Ladurée, è tra i suoi finanziatori. Il tg di Tf1, il primo canale di proprietà di Bouygues, cemento e telefonini, ha ignorato la notizia del dossier di WikiLeaks contro Macron; in compenso ha messo in guardia dai pericoli dell’astensione — in aumento — e delle schede bianche. Obama e la Merkel hanno fatto la loro parte; anche se rischiano di risultare controproducenti.
Non c’è comunque un sondaggio che non dia Macron nettamente in testa. Solo una clamorosa sorpresa può privarlo dell’Eliseo. Ma, al di là dei numeri, si annuncia una vittoria di risulta, non di sfondamento. Sarà più un voto contro qualcuna, che un voto per qualcosa. Finita la luna di miele accesa dagli occhioni azzurri e dalla bella intesa con Brigitte, anche Macron pagherà il prezzo della torsione imposta dal ballottaggio; e non avrà con sé tutti i francesi che oggi lo voteranno. Già ora il 60% di loro dichiara di farlo «in mancanza di meglio».
La festa al Louvre
È già stato montato il palco per la notte di festa nel luogo scelto dalla coppia Emmanuel & Brigitte: la Cour du Carrousel del Louvre, l’anima antica di Parigi innervata dalla piramide di vetro. A metà strada tra place de la Concorde, la piazza della destra, dove dieci anni fa Sarkozy cantò la Marsigliese con Mireille Mathieu, e la Bastiglia, la piazza della sinistra, dove il 6 maggio 2012 Hollande fu conteso sul palco dalla madre dei suoi figli, Ségolene Royal, che lo baciò sulla guancia, e dalla compagna Valérie Trierweiler («baciami sulla bocca!»).
Hollande era allora il campione del veterosocialismo, e minacciava misure punitive, tipo l’aliquota al 75% sui redditi più alti (cancellata dalla Corte Costituzionale). Poi, come prima di lui Mitterrand, il presidente rinunciò alle asprezze ideologiche, per imboccare infine la strada liberalsocialista con il nuovo ministro dell’Economia: Macron. Che ora promette di moralizzare la politica e cambiare un po’ di facce, anche per vincere le legislative di giugno e avere una maggioranza in Parlamento; ma in economia rappresenta la continuità.
Muoversi nel solco del detestato Hollande richiede una grande profusione di coraggio; proprio come far sventolare nei comizi la bandiera europea. Da domani — sempre che le previsioni siano rispettate — vedremo se Macron ne ha conservato un poco per andare a Berlino e affrontare Angela Merkel.