Corriere della Sera

«Italia in crescita ora tagli il debito»

Il ceo di Intesa Sanpaolo: il governo ha uomini e forze per riuscire. Nel 2018 il nuovo piano strategico

- Di Nicola Saldutti

Arrivano segnali positivi per la ripresa dell’Italia ma ora «la priorità è ridurre il debito». Per Carlo Messina, ceo di Intesa Sanpaolo, «il governo ha uomini e forze per riuscire. Nel 2018 il nuovo piano strategico».

Il mestiere, o come diceva Luigi Einaudi, l’arte del banchiere, di questi tempi sembra diventata più complicata. Carlo Messina, da tre anni e mezzo amministra­tore delegato di Intesa Sanpaolo, ripete spesso che lui in questa banca ha percorso tutti i gradini. I conti sono appena usciti: «L’anno è partito molto bene, il primo trimestre registra un utile migliore delle previsioni dopo un 2016 durante il quale abbiamo generato il più elevato utile netto tra le aziende italiane. E continuere­mo a garantire elevati livelli di redditivit­à anche in futuro».

Eppure la banca è anche il sensore dell’economia, delle cose che vanno e dei rischi che un Paese come l’Italia sta attraversa­ndo…

«Sui nostri conti passano 15 miliardi di transazion­i al giorno e quello che stiamo vedendo è un Paese in recupero. C’è una ripresa che viene dal mondo delle famiglie e delle imprese. Gli investimen­ti accelerano, ma tassi dell’1% non bastano. La disoccupaz­ione è troppo elevata e per riassorbir­la ci vuole una crescita più sostenuta. Per ottenerla bisogna ridurre il debito pubblico, che drena risorse e investimen­ti. Deve diventare una priorità».

Non ha nessuna tentazione di scendere in campo in politica, Messina. Eppure la banca è un pezzo rilevante del Paese?

«Gestiamo 860 miliardi di euro e anche per questo possiamo considerar­ci un architrave del Paese. In questi anni abbiamo gradualmen­te cambiato il nostro modo di fare banca, trasforman­doci da istituto commercial­e a wealth management company, cioè un’azienda capace di valorizzar­e quell’enorme risorsa rappresent­ata dal risparmio degli italiani. È il nostro punto di forza. Un modello unico a livello europeo: alti livelli di redditivit­à associati a una struttura operativa con un rapporto tra costi e ricavi sotto il 50%, tra i più bassi d’Europa». Generali: dopo la bocciatura del dossier il caso è definitiva­mente alle vostre spalle?

«Sì. È stato doveroso esaminare la logica di una nostra integrazio­ne industrial­e con le Generali dopo che sono iniziate a circolare sul mercato voci di un interesse di un grande operatore internazio­nale verso il gruppo triestino: lo scenario competitiv­o nel wealth management avrebbe subito un significat­ivo mutamento. Abbiamo condotto, in maniera trasparent­e, un’analisi attenta avendo come punti fermi la capacità di creare valore per i nostri azionisti e la solidità patrimonia­le della Banca. Verificato che le condizioni non c’erano il caso è stato chiuso». Come riuscirete a crescere ancora?

«Stiamo lavorando a un nuovo piano industrial­e, che presentere­mo nel 2018. Puntiamo sull’ulteriore conversion­e di attività della clientela in risparmio gestito, non meno di altri 100 miliardi. In campo assicurati­vo, vogliamo raggiunger­e una posizione di leadership nel ramo danni. L’acquisizio­ne della banca dei tabaccai darà nuovo impulso alle attività retail. È ragionevol­e prevedere una ripresa dei tassi di interesse, con un significat­ivo beneficio sui nostri conti: 100 punti base in più corrispond­ono a una crescita dei ricavi da margini d’interesse di 1 miliardo». Ma il problema principale nelle aziende

sono i ricavi. Anche per le banche…

«Non si possono tagliare i costi all’infinito. Noi, ad esempio, abbiamo investito sulla riqualific­azione di 4.500 risorse, individuan­do nuove profession­alità. Abbiamo evitato esuberi valorizzan­do il nostro punto di forza: le persone di Intesa Sanpaolo. Abbiamo così diversific­ato i ricavi con l’aumento della componente commission­i, che cresce ormai a doppia cifra. Dal 2013 ad oggi le masse da noi gestite sono salite di 80 miliardi. Possiamo contare su un data base che ci indica le scadenze degli investimen­ti dei nostri clienti per stare al loro fianco proponendo opzioni redditizie e sicure. E non vendiamo, da oltre dieci anni, bond subordinat­i (quelli sotto accusa nei crack bancari, ndr)».

Però è anche vero che il mondo bancario è ostaggio delle sofferenze, dei crediti a rischio…

«Noi ci siamo mossi con due anni d’anticipo sulla riduzione dei cosiddetti Non Performing Loans (sofferenze, ndr). Dal picco siamo scesi di 7,5 miliardi. A costo zero. Grazie a questo processo torneremo ai livelli pre-crisi a fine 2019». Come a costo zero?

«Cioè senza aver bisogno di nuovi accantonam­enti,

Cambiament­o Gestiamo 860 miliardi di euro. Il nostro modo di fare banca è cambiato: da istituto commercial­e ad azienda che valorizza il risparmio degli italiani

Risparmio gestito Nel 2018 il nuovo piano industrial­e. Puntiamo su un’ulteriore conversion­e per 100 miliardi delle attività della clientela in risparmio gestito

che una avevamo macchina già per effettuato.la gestione Abbiamodel­le sofferenze­realizzato proprio dove fondo lavoranodi private 1.500 equity. persone:Che ci un ha vero consentito e di dismettere crediti problemati­ci senza perdite aggiuntive. E siamo, nel frattempo, riusciti a riportare in bonis quasi 60 mila aziende. Vuol dire 300 mila posti di lavoro e altrettant­e famiglie». Non mi dica che la banca ha un ruolo sociale…

«Può averlo: penso al nostro impegno per il terzo settore, ai nostri progetti per l’infanzia o al ruolo che svolgiamo in campo culturale. Quanto alle aziende in crisi è nostro interesse non farle fallire. Noi lavoriamo perché l’impresa torni a fare impresa». Sta pensando ad Alitalia?

«Non mi rende felice pensare che Alitalia possa fallire. Esserne azionisti come banca non è virtuoso nel medio periodo, e questo è un cordone destinato ad essere reciso. Però, se esistono progetti industrial­i con partner che possono dare vere prospettiv­e di ritorno alla redditivit­à della compagnia aerea, la banca li valuterà con estrema attenzione. Ci sono in ballo 20 mila posti di lavoro, tra azienda e suo indotto».

A proposito di prestiti, quel risparmio che gestite è una specie di polmone per alimentare i finanziame­nti all’economia…

«Dal primo gennaio 2014 abbiamo erogato finanziame­nti per 130 miliardi. Quest’anno puntiamo a farne almeno 50. Con un impatto sull’economia reale superiore a quello di una manovra del Governo. Siamo i più grandi erogatori di credito del Paese. E a giudicare dalla domanda di nuovo credito, per mutui e investimen­ti, l’economia mostra un recupero struttural­e». Non sarà troppo ottimista?

«No. Siamo stati tra i primi, nel 2015, a vedere i segni di una ripresa più sostenuta e a stimare per il 2016 un aumento del Pil dell’1%. Credo che il Mezzogiorn­o rappresent­i una grande potenziali­tà: esprime delle eccellenze nel settore aerospazia­le, farmaceuti­co e agroalimen­tare, può diventare una delle principali piattaform­e logistiche d’Europa, nel turismo i margini di crescita sono enormi. Tutto ciò, come ho già detto, non è sufficient­e a rimuovere i punti di debolezza del Paese. Come il debito». Cosa bisognereb­be fare?

«Pensare a un piano pluriennal­e per la sua riduzione. Si potrebbe pensare a un piano di dismission­i di asset immobiliar­i a livello centrale, regionale e locale. Diciamo almeno 100 miliardi in cinque anni. Secondo me si può e si deve fare». Lo può fare anche questo governo?

«Sì, ci sono le risorse e gli uomini per gestire scelte di questa portata».

Il Sud ha grandi potenziali­tà: ha eccellenze nell’industria aerospazia­le e nel turismo ha margini di crescita. Può diventare una delle grandi piattaform­e logistiche d’Europa

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Al vertice Carlo Messina, 55 anni, ceo di Intesa Sanpaolo dal 29 settembre 2013 (Imagoecono­mica)

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