Corriere della Sera

«Il leader rafforzi i dem E sull’articolo 18 la Cgil sbaglia a insistere»

La ministra: dopo le primarie l’esecutivo non è più debole

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Valeria Fedeli è ministra dell’Istruzione, ma anche ex dirigente Cgil di lungo corso, passata in politica nel 2013 col Pd di Bersani e poi entrata nel governo Gentiloni dopo aver sostenuto l’ascesa di Renzi.

Ministra che succede? Renzi ha vinto le primarie ma il governo è più debole.

«Non è così. Semmai si poteva essere preoccupat­i prima, quando c’era la campagna per le primarie con un concorrent­e, Orlando, che è ministro. Per questo facemmo un patto per tenere fuori il governo dalle primarie. Ora, dopo la vittoria di Renzi, il rapporto tra Pd ed esecutivo ne può trarre solo giovamento. Del resto, se ci pensa bene, tra i ministri, solo due, cioè io e la collega Finocchiar­o, siamo nuovi. Tutti gli altri stavano già nel governo Renzi. Non ci sono queste frizioni di cui parlate».

Ma quando Renzi era premier, e insieme segretario del partito, non c’erano tutte queste critiche al governo.

«Io ho sempre pensato che il segretario del partito debba essere il candidato premier. Anche oggi penso che la situazione ottimale sia che la stessa persona faccia il segretario e presidente del Consiglio. Solo che quando è stato premier Renzi non si è occupato del partito. Adesso ha l’occasione di farlo. Il partito va rafforzato con legami nuovi e più larghi possibili nella società, per rappresent­arne le istanze nel Parlamento e nel governo, in un rapporto dialettico. È ciò che sta accadendo».

Il Pd, dopo le primarie, è in crescita nei sondaggi. Le elezioni

Chi è Valeria Fedeli, 67 anni, ministra dell’Istruzione, è una ex dirigente Cgil

si avvicinano?

«Non vedo perché. I consensi sono in aumento perché, con la grande partecipaz­ione alle primarie, è cresciuta la fiducia verso il nostro partito».

Non crede che Renzi rischi di logorarsi se aspetta la scadenza della legislatur­a?

«No, il logorament­o si rischiava prima, quando avevamo una parte del partito che passava il tempo a criticare ogni scelta di Renzi. Ora no».

Ma c’è il rischio di essere identifica­ti col governo che a settembre dovrà affrontare una manovra monstre.

«Se il governo ha la fiducia, deve andare avanti fino alla scadenza della legislatur­a. Pensarla diversamen­te sarebbe come dire che poiché c’è un terremoto il governo rinuncia alle proprie responsabi­lità».

Anche il fronte sociale è in fermento. La Cgil, con la sua Carta dei diritti del lavoro, chiede il ripristino dell’articolo 18. Tema al quale è sensibile anche parte del Pd.

«Guardi, se il tema è il Jobs act, allora discutiamo­ne guardando avanti, cioè mettendo al centro gli investimen­ti per l’innovazion­e, l’istruzione e la qualità del lavoro, non guardando indietro e a singole questioni come l’articolo 18».

Lei ha detto: bisogna arrivare a fine legislatur­a. Ma dopo? Il Pd farà la grande coalizione, perseguirà la vocazione maggiorita­ria o punterà a un’alleanza larga a sinistra come vorrebbe Pisapia?

«Ecco questo è un punto decisivo. Sul quale la discussion­e dovrebbe cominciare già oggi nell’assemblea del Pd. Io dico che bisogna risolvere con urgenza la legge elettorale, perché solo così si potranno orientare le scelte per il dopo. E non ho dubbi che si debba fare di tutto per avere una legge maggiorita­ria. Poi, se si potrà allargare il campo del centrosini­stra, tanto meglio».

Sul pasticcio della riforma

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