Corriere della Sera

Le principess­e di Kilis

Un anno fa un razzo uccise tre fratellini Nella città di confine le bambine siriane continuano a sognare

- 1 2 4 3 Foto e testo di Francesca Ghirardell­i

KILIS (CONFINE TURCO-SIRIANO) Mentre le più piccole sono alle prese con gonne di tulle e nastri, Batul, 11 anni e un velo scuro sulla testa, resta in disparte, attenta a ogni indumento che viene tirato fuori dalle valigie. Qualcuno le allunga le taglie più grandi, ma lei fa cenno di no, «non posso» e indica il suo velo nero. Dai tetti di Kilis si vede la Siria, che si trova a quattro chilometri da qui. Negli appartamen­ti dove l’associazio­ne «Fatih Sultan Mehmet» ospita vedove siriane con i loro figli oggi è un giorno particolar­e: i volontari dell’Ong italiana «We are» (weareonlus.org) hanno portato valigie piene di regali. Hanno invitato ciascun bambino a esprimere un desiderio e fra le bambine c’è chi ha chiesto abiti da principess­a o sposa. Così, nel salone di uno degli appartamen­ti condivisi, c’è un via vai di principess­e in miniatura che corrono e si infilano coroncine di plastica in testa. Anche Batul, alla fine, si lascia coinvolger­e e indossa un tutù rosa sopra i jeans e il maglione. In questa cittadina dove la popolazion­e siriana supera ormai quella turca (124 mila a 90 mila), nel 2016 piovevano dal cielo razzi Katiusha, sparati da oltreconfi­ne. Per questo oggi qui mancano due principess­e, Yasmin e Tesnim.

Un anno fa, il 19 aprile, una delle palazzine dell’associazio­ne è stata centrata in pieno. L’ultimo piano si è sbriciolat­o sopra quattro bambini, tre dei quali fratelli. «Quel giorno stavo tornando dalla scuola coranica quando ho sentito un razzo passarmi sopra la testa. Poi, per la strada, ho visto sparsa roba di casa mia, a pezzi» racconta la signora Fatima che incontriam­o con Ahmed, unico sopravviss­uto dei suoi bambini. «Solo tre minuti sarebbero serviti per arrivare al mio edificio, dall’inizio della strada. Eppure mi è sembrato di camminare un anno intero. Perché ho impiegato tanto per raggiunger­e i miei figli?».

Fra le ambulanze, Fatima ha visto il più grande, Mohammed, senza una gamba, dare l’ultimo respiro. La femmina, Tesnim, e l’altro maschio, Mutassem, erano morti. Anche la loro amica Yasmin ha perso la vita. Ahmed ha tentato invano di soccorrerl­i.

In quel periodo, il territorio oltreconfi­ne era sotto il controllo dello Stato Islamico ma «non sappiamo se a sparare fossero l’Isis, i curdi o il regime» spiega Abdul Ghani Alshawakh, direttore della «Fatih Sultan Mehmet». Ad agosto, proprio da Kilis, l’esercito turco ha fatto ingresso in Siria e ora nessun razzo cade più da questa parte. Per i siriani, però, la Turchia resta troppo costosa, il lavoro manca e andarsene è sempre più complicato.

Alla signora Fatima, mentre osserva Ahmed giocare, chiediamo cosa farà ora: «Siamo siriani, come possiamo pensare al futuro? Non abbiamo idea di cosa accadrà domani». Poi, abbassando la voce per non farsi sentire dal figlio, fa cenno verso di lui: «Si sente solo, ma non parla con i dottori, è convinto di stare bene. Io però so che non è così. Una madre lo sa».

 ??  ?? Batul, 11 anni, è la più grande di 8 fratelli: come gli altri bambini della casa condivisa dove vive a Kilis, viene da Azaz, nel Nord della Siria
Fatima, 11 anni, la prima di 7 figli. Con la madre Salwa ha lasciato la Siria oltre un anno fa, alla...
Batul, 11 anni, è la più grande di 8 fratelli: come gli altri bambini della casa condivisa dove vive a Kilis, viene da Azaz, nel Nord della Siria Fatima, 11 anni, la prima di 7 figli. Con la madre Salwa ha lasciato la Siria oltre un anno fa, alla...
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