CON LA SOLDATESSA MAY L’UNIONE EUROPEA DEVE AGIRE COMPATTA
Botta e risposta. I Ventisette Paesi hanno presentato un fronte comune e fissato i primi paletti essenziali del negoziato: tutela dei diritti dei cittadini dell’Unione Europea, «conto» da saldare per l’uscita, Irlanda. Theresa May ha risposto a muso duro, respingendo al mittente l’impostazione del Consiglio europeo. Il vero negoziato sulla Brexit può ora cominciare: quasi. Perché si entri nel vivo della trattativa, bisognerà attendere infatti l’esito delle elezioni: quelle francesi e inglesi innanzitutto, ma anche — e forse soprattutto — quelle tedesche. Per non parlare di quelle italiane all’orizzonte. I temi indicati — e contestati da Londra — sono solo la punta dell’iceberg di un negoziato che riguarderà decine di migliaia di regolamenti e disposizioni varie e dovrà affrontare aspetti delicati e assai controversi, come la competenza giurisdizionale della Corte Europea di Giustizia e i servizi finanziari. Due anni sembrano davvero pochi... La May sa che l’apparente solidità della posizione europea nasconde crepe che già si intravedono: continuerà a cercare di dividere il fronte avversario, fedele a una linea negoziale che corrisponde bene alla tradizione del suo Paese. Non ha il carisma di una Thatcher ed è solida prima che spregiudicata, con un approccio da «buon soldato» descritto da molti osservatori: punterà sino in fondo e senza esitazioni su quei Paesi membri con cui riterrà possibile una corrispondenza di interessi utile ai suoi fini. Il percorso della Brexit si annuncia molto più lungo e accidentato di quanto immaginato: la May si fa delle illusioni se pensa di riuscire a forzare un accordo sbilanciato a suo favore, ma i Ventisette dovranno stare attenti a non farsi attirare in derive negoziali che potrebbero costare loro assai care. Se per essi quello dell’Ue resta alla fine dei conti un progetto politico, per la Gran Bretagna non lo è stato mai.