Massimo Furiga
Caro Aldo, i rivoluzionari francesi scrissero sulla loro bandiera le parole libertà, fratellanza e uguaglianza, eguaglianza, non merito. Il merito va bene, ma quando le condizioni di partenza sono eguali. Per questa ragione i costituenti italiani, incalliti «meritocratici», hanno scritto nell’art. 3 della Costituzione «è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli che». Il compito, sostanzialmente, spetta alla scuola. Le prove Invalsi vanno bene, ma ne è stato fatto un uso improprio: sono state usate per costruire una sorta di graduatoria fra le scuole. L’errore è grave. Cito due ragioni. 1) Non si può mettere sullo stesso livello una scuola del centro di Milano con quella di una periferia degradata: la frequenza scolastica a Scampia diventa un obiettivo importante, in quella del centro di Milano no. 2) Le prove Invalsi valgono a giudicare, per quanto riguarda la lingua italiana, la capacità di comprendere un testo scritto (narrazione e saggio) e di rispondere a quesiti sulla riflessione della lingua.
Caro Massimo, uguaglianza per i rivoluzionari francesi significava che gli uomini nascono liberi e uguali. Oggi noi dobbiamo tendere all’uguaglianza delle chance. Il comunismo non ha funzionato, il populismo non funzionerà.
SICUREZZA
Non svuotare le carceri a colpi di decreti Caro Aldo, si continua a leggere di magistrati che liberano delinquenti pericolosi o infliggono loro dei simpatici arresti domiciliari. Si sospetta che sia per il poco spazio nelle carceri. Ma quante prigioni abbiamo chiuso? L’Asinara, Pianosa, Santo Stefano e chissà quante altre, dove ci potevano stare migliaia di detenuti. Già ma non si può dire: poveri delinquenti, nessuno tocchi Caino e via santificando e blaterando!
Pino Carrato Casale Monferrato Caro Pino, al di là del tono la sua lettera pone una questione seria. Il carcere dev’essere un luogo di umanità e di recupero. Ma il problema non si risolve con i decreti per svuotare le carceri. È davvero impossibile costruirne di nuove? Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579
È compito della scuola offrire le stesse chance
lettere@corriere.it letterealdocazzullo @corriere.it
Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere
Caro Aldo,
qualcuno ha finora tracciato un serio bilancio della presidenza Obama? Osannato come il nuovo Kennedy, si è rivelato un totale fallimento per gli affari interni e in politica estera, dove non ha saputo affrontare i problemi che ora si ritrova di fronte Trump. Qual è il suo pensiero?
Cara Emilia,
Quando si giudica un presidente americano bisogna guardarsi sia dall’ideologia, sia dai sentimenti. Per quanto riguarda l’ideologia, la nostra generazione di europei ne è al riparo. Ma i sentimenti sono sempre in agguato.
L’elezione di Obama comportò una grande carica emotiva. Ricordo le lacrime di Kathleen Kennedy mentre mi raccontava che il padre Bob prima di essere assassinato aveva previsto che un giorno gli Stati Uniti avrebbero eletto un presidente nero. Poi nella notte una folla multietnica si radunò spontaneamente sotto la Casa Bianca: lo so che può sembrare un luogo comune, ma le assicuro che vedere bianchi, asiatici, latinos, neri festeggiare insieme è una cosa che ti segna. Ma l’emozione più grande l’avevo vissuta due giorni prima, la domenica, quando andai con la mia amica italoamericana Natalia nella chiesa dove Obama aveva battezzato le figlie. Prima avevo rubato un’improbabile intervista al citofono al reverendo Wright, che con il suo radicalismo aveva rischiato di far perdere al suo pupillo la Casa Bianca. In chiesa eravamo gli unici tre bianchi (c’era anche un reporter messicano) in mezzo a tremila neri. A decine vennero ad abbracciarci e a baciarci, e Natalia piangeva con le lacrime: era nata e cresciuta a Chicago, ma come tutte le sue coetanee non era mai stata in quel quartiere in tutta la sua vita. «Sul trenino rosso del Bernina con un gruppo di amici in una giornata splendida di fine aprile». L’immagine ci è stata trasmessa da Raffaello Pasqualotto. (Inviate le foto, ovviamente scattate da voi, a lettere@ corriere.it e su Instagram @corriere).
Non era però impossibile notare (e lo scrissi) che Obama aveva una bellissima storia, non un grande curriculum. Non aveva mai amministrato nulla: non uno Stato o una città, e neanche un’edicola o una pizzeria. L’economia Usa è ripartita, grazie alla sua politica di investimenti (già iniziata da Bush jr). In politica estera, Obama è rimasto fedele alla sua promessa: basta guerre. Ma ha commesso almeno due grandi errori: disinteressarsi della ricostruzione civile della Libia dopo Gheddafi; e non intervenire subito contro Assad, lasciando che il dittatore massacrasse gli oppositori facendo crescere l’Isis, che gli serve come alibi per restare al potere. Tenga conto però, cara Emilia, che Obama ha avuto il controllo del Congresso solo per i primi due anni. La sua riforma sanitaria, per quanto confusa, era un tentativo di dare ai liberi quella copertura sanitaria che Trump sta tentando di smantellare.