Corriere della Sera

I limiti del neoliberis­mo e il vero potere delle banche L’analisi di Paragone

- Fabrizio Massaro

Il titolo potrebbe trarre in inganno: «Gangbank», una parola inventata. Ma nel primo libro del giornalist­a e conduttore televisivo Gianluigi Paragone, 46 anni, non c’è niente di inventato. Né le 311 pagine che lo compongono possono essere liquidate come «il solito libro qualunquis­ta che non dice niente». Al contrario, uscito da pochi giorni per Piemme, «Gangbank» è un affresco da cronista di come la «grande finanza» — entità astratta composta da colossi bancari, fondi d’investimen­to, agenzie di rating, multinazio­nali ma dagli effetti molto concreti, e per Paragone molto negativi, sulla vita dei cittadini — abbia preso il controllo totale delle nostre esistenze, mettendo in un angolo la democrazia e le Costituzio­ni. E’ un pamphlet vecchio stile: ci sono i numeri, le statistich­e (con le fonti opportunam­ente citate), le analisi, le storie. È soprattutt­o un attacco al neoliberis­mo, anche con qualche accento luddista quando l’autore manifesta timori per l’avvento dei robot distruttor­i del lavoro manuale e artigianal­e.

Sotto la penna di Paragone finiscono i politici che «hanno svenduto la Costituzio­ne alle lobby», l’Europa che ci impone trattati su cui non abbiamo potere decisional­e, che non capiamo perché scritti in modo incomprens­ibile e che ci impoverisc­ono; la retorica dei guasti del debito pubblico, che per Paragone è solo un cappio stretto dalle banche attorno al collo degli Stati per comandarli; l’abbandono del welfare pubblico a favore del business privato; l’inganno della sharing economy che arricchisc­e i monopolist­i e affama con 2,5 euro all’ora i corrieri di Foodora; la precarizza­zione del lavoro pubblicizz­ata dallo stesso governo Renzi, che nelle brochure istituzion­ali sottolinea che «i nostri ingegneri sono bravissimi e costano meno che altrove».

C’è una via d’uscita, per Paragone: opporsi alla «sdemocrati­zzazione». E striglia la politica: si occupi non solo di diritti civili politicame­nte corretti, come i matrimoni gay, ma torni ad affrontare i temi del lavoro, «non proprio un dettaglio da sacrificar­e in nome della modernità».

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