Frutta o donne: la grazia onirica è la pienezza che diventa magia
I temi religiosi Uno scorcio dell’allestimento della mostra «Botero» al Vittoriano. Da sinistra verso destra, le opere: «Seminario», 2004; «Cardinale addormentato», 2004 e «Cristo crocifisso», 2000. La foto è di Angelo Carconi/ Ansa grazia estrema. Talvolta lo sguardo scorre sulla pelle di un nudo con l’impressione di sorvolare le dune di un deserto, tanto sono ampie le colline e gli avvallamenti. Come succede sulla guancia di Battista Sforza, moglie di Federico da Montefeltro, nel dittico che Botero ha ripreso dal doppio ritratto dei Duchi di Urbino di Piero della Francesca. Qui l’artista colombiano amplifica non solo i corpi, ma anche le misure originali dei due pannelli, rifacendo le figure su tele cinque volte più grandi delle tavole di Piero. E compie un gesto che Piero non avrebbe mai osato: inverte la posizione frontale dei due personaggi, in modo che Federico appare ripreso da destra, dalla parte cioè che mostrava il volto deturpato dal colpo di lancia che si era portato via l’occhio.
Botero però lo dipinge integro, quasi a ribadire la volontà di offrire la visione di un mondo primordiale e innocente, trasognato. Dove perfino la Madonna che si incontra più avanti piange lacrime di cera ma ha le unghie ben curate e laccate di rosso e stringe un bambino un po’ cresciuto, in pantaloncini e calzette verdi, quasi avesse appena interrotto una partita di calcio. Dove cardinali, presidenti, first lady e ambasciatori inglesi passeggiano nei boschi di banane, le rose bianche delle nature morte sembrano intagliate nel burro e la tovaglia drappeggiata in una gigantesca fetta di lardo. beffa architettata dallo stesso Brunelleschi ai danni di un malcapitato ebanista di stazza «compressa e grande», e perciò detto il Grasso. Sull’obesità in letteratura è il titolo di un gustoso saggio-raccontino di Théophile Gautier (foto), il padre di Capitan Fracassa: lo possiamo leggere, tradotto da Andrea Baiani, nelle preziose edizioni milanesi Henry Beyle. Gautier, il quale stravede per le donnone di Rubens che cantano dopo aver bevuto a un banchetto, si interroga sul peso (netto) dell’uomo di genio. Se da giovane era convinto che il poeta lirico dovesse essere «sottile come un’aringa» e non dovesse mai superare i 90 chili, con l’età matura aveva cambiato idea. Era stata l’esperienza a rendergli palese che la razza smunta del letterato si era estinta e che il genio del XIX secolo era in carne: «La poesia prese a lavorar di mascelle con tale buona lena che in poco tempo mise su pancia». Gli esempi erano sotto i suoi occhi: Hugo, Balzac, Rossini, Dumas... Per non dire dello stesso Gautier. Chissà se Botero conosce questo delizioso quadretto ottocentesco, e chissà se in definitiva la sua ispirazione non abbia a che fare con certe geniali trippe ottocentesche.