Le sue figure, attinte o meno dalla storia, paiono fatte d’aria, si librano alleggerite
con la sua terra, non è scivolato verso un’arte etnica.
Il suo legame con le radici si è poi alimentato genialmente con i linguaggi dell’arte italiana del Rinascimento, da Giotto a Piero della Francesca, e dell’arte europea dei secoli successivi, da Velázquez a Goya, da Cézanne a Matisse, fino all’espressionismo. Senza però i segni della protesta e della denuncia sociale che hanno attraversato le opere degli europei, soprattutto tra Ottocento e Novecento. Al massimo Botero stende sulle sue figure, che siano persone oppure oggetti, un velo di sognante ironia, li avvolge nella stesso realismo magico che permea i racconti di tanti scrittori latino-americani suoi contemporanei. E in questo scambio reciproco tra due modi lontani di creare arte, anche i
La visione
«d’après» di Botero subiscono gli incantesimi arcaico-popolari della tradizione latinoamericana e quelli personali dell’artista che ha trovato una sua cifra stilistica nel dilatare le forme dei corpi e degli oggetti. Ecco allora icone della storia dell’arte occidentale, come la nana di Las meninas di Velázquez o la sua Infanta Margherita, trasformate in figure immense, che a prima vista sembrano grasse, ma a uno sguardo più attento paiono fatte d’aria, generate da visioni oniriche, alleggerite da una