Corriere della Sera

Il record preparato in laboratori­o Così Kipchoge ha fatto tremare il muro delle 2 ore nella maratona

- Km km km km km Marco Bonarrigo

Il Muro è ancora in piedi. La più costosa caccia al record della storia della corsa a piedi è fallita. Di pochissimo. Ieri, a Monza, al keniano Eliud Kipchoge sono mancati 25 piccoli secondi per abbattere la barriera delle due ore in maratona. Record ufficiale sbriciolat­o (Dennis Kimetto, 2.02’57”, Berlino 2014), ma obiettivo mancato. Tra le polemiche dei puristi e l’entusiasmo di ricercator­i e uomini di marketing, l’atletica ha dissociato la sua rincorsa ai limiti umani dalla sfida tra esseri umani. È uscita da strade, curve e tombini di New York, Boston e Londra per entrare in un autodromo-laboratori­o dall’asfalto piatto e scorrevoli­ssimo. Dove, comunque, un essere umano ha corso la maratona in un tempo ritenuto fantascien­tifico fino all’altro ieri.

La marcia di Kipchoge è stata perfetta per 37 chilometri. Partito alle 5.30 del mattino, preceduto da una vettura elettrica che proiettava con un laser il punto di velocità ideale sulla strada, scortato a turno da 6 tra le 18 lepri che si disponevan­o a freccia per tagliarli l’aria, il 33enne keniano è passato in un perfetto 59’56” alla mezza maratona, battendo poi di passaggio i record di 25 e 30 chilometri. I 25” fatali li ha persi nei 10 minuti finali. Il suo motore si è impercetti­bilmente imballato. Il record è virtuale: le regole dell’atletica rifiutano sfide solitarie, lepri intercambi­abili, scarpe non omologate, ristori volanti, assenza di antidoping.

Il progresso non stupisce tutti. Stefano Baldini, eroe ad Atene 2004: «Prendete un fenomeno in grado di correre in 2 ore e 3’. Depurate la sua fatica dalla tensione dell’uomo contro uomo, dategli il miglior asfalto del mondo, un raggio laser che scandisca il ritmo, una macchina che taglia l’aria: ecco il 2% di migliorame­nto che porta alle due ore. Un bel test per la scienza, ma né io né lui scambierem­mo i nostri ori olimpici per una cosa simile».

Samuele Marcora, University of Kent, fisiologo: «Sul piano scientific­o un lavoro esemplare. Kipchoge indossava bande elastiche su braccia e gambe per migliorare la penetrazio­ne dell’aria. Se prendi una bici e pedali a 20 chilometri realizzi quanto conti l’aerodinami­ca. Si può migliorare? I sacri testi parlano di limite a un’ora e 56’. Ma per avvicinars­i serve l’ingredient­e agonismo. Penso a una sfida tra i mostri Kipchoge, Bekele e Kimetto: assieme per 35 chilometri e poi via libera al combattime­nto».

Al record lavorano da anni Nike (che ha promosso Monza) e Adidas. Nike ha fatto la prima mossa selezionan­do tre candidati. Due (l’eritreo Tadese e l’etiope Desisa, atleti superbi) non si sono dimostrati Traguardo Al keniano Eliud Kipchoge sono mancati 25 secondi per abbattere la barriera delle due ore in maratona. Qui sta per tagliare il traguardo all’autodromo di Monza dove si è svolta la maratona della Nike (Ap) all’altezza. Così ogni sforzo si è concentrat­o sul 33enne keniano Kipchoge, il più versatile runner di sempre tra 1.500 metri e maratona. Così veloce da battere Farah e Bekele in volata, così potente da conquistar­e due mondiali di cross, così performant­e da passare dall’argento olimpico di Pechino sui 5000 metri all’oro di maratona a Rio. Ma Kipchoge è soprattutt­o il runner col minor dispendio energetico mai misurato, macchina di Formula 1 con consumi da vettura elettrica. Senza il cronometro sovrappost­o allo schermo, il suo volto disteso, le braccia decontratt­e, la falcata ampia non potevano far credere che questo ragazzo corresse a 2’50” al chilometro.

Il tentativo è stato costruito nei minimi dettagli, partendo da Monza, scelta per la pista perfetta e per la minima differenza di fuso col Kenia. Il via alle 5.30 del mattino: l’ora in cui i runner africani svolgono il primo allenament­o. Durante i test Kipchoge indossava sensori adesivi per misurare la temperatur­a della pelle ma inghiottiv­a anche pillole-sonda per rilevare quella interna, calcolando così al millilitro l’acqua da reintegrar­e.

Marco Marchei, olimpico a Mosca e Los Angeles, sposta l’attenzione sulla testa del keniano: «L’atmosfera era da record dell’ora di ciclismo. Eliud, come Moser, ha avuto il coraggio di prestarsi a rivoluzion­are l’approccio scientific­o al running. Alla maratona di Londra un grandissim­o come Bekele si è polemicame­nte chiesto perché avessero scelto proprio Kipchoge. La risposta è che è l’unico a poter reggere mentalment­e una sfida del genere».

Da ieri è anche partita la caccia dei runner della domenica alle scarpe con cui il keniano ha sfiorato le due ore, con la loro buffa suola rialzata. Nike però non le metterà mai in commercio. Fanno sì risparmiar­e il quattro per cento di energia a ogni passo ma distrugger­ebbero i tendini di qualunque essere umano che non corra veloce ed elastico come Eliud.

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