PREMIARE L’INDUSTRIA CHE FA RICERCA
In Italia ci sono molte persone con epatite C. Per questo la gestione delle nuove terapie per l’infezione ha rappresentato e rappresenta una sfida molto complessa. A quali dei malati, quando e come, garantire i nuovi farmaci efficacissimi ma costosissimi (almeno all’inizio) che si sono resi disponibili, cercando allo stesso tempo di non sottrarre risorse ad altri importanti capitoli della spesa sanitaria ?
I numeri dicono che dal 2015 a oggi sono 73 mila le persone che hanno ricevuto i trattamenti innovativi e che l’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) ha ottenuto di pagare i medicinali ai prezzi più bassi d’Europa (si veda nelle pagine successive). Lo sforzo è stato notevole e l’impegno delle istituzioni appare incoraggiante anche se la guerra non è certo ancora vinta. Detto quindi che molto rimane da fare, ci si può comunque chiedere se non sia già possibile tracciare un bilancio di questa situazione senza precedenti.
Una prima lezione che si può trarre dalla vicenda è che disporre di un Servizio Sanitario Nazionale che funga da «pagatore unico» per i farmaci, a differenza di quanto accade in diverse altre nazioni, si conferma un vantaggio per la trattativa sui prezzi e quindi per l’accesso alle terapie.
Una seconda lezione che impartisce il «caso epatite C» è che bisognerà abituarsi a far fronte a costi per le medicine molto maggiori di quelli a cui siamo stati abituati fino a un recente passato. Costi in buona parte dovuti agli ingenti investimenti necessari in ricerca per le moderne molecole biologiche, che giustificano la richiesta di un adeguato premio per l’innovazione. In un’economia di mercato è vantaggioso riconoscerlo, perché in tal modo si alimenta una filiera produttiva di importante valore.
Diverso è il caso delle aziende che per proporre innovazione si assumono un rischio di natura esclusivamente finanziaria, per esempio attraverso l’acquisizione di molecole interamente ideate o sviluppate da terzi (specie quando si tratti di istituzioni sostenute da denaro pubblico). In tali circostanze appare legittimo interrogarsi su quanto e come tenerne conto nella valutazione del premio, perché un beneficio sproporzionato non andrebbe ad alimentare un’attività per sé «socialmente utile», ma solo, o prevalentemente, l’abilità nell’investimento di capitale.
Il che potrebbe rappresentare un disincentivo per le industrie che invece investono davvero in ricerca.