Così la sinistra si è suicidata
PARIGI Al numero 10 di rue Solferino l’unica luce accesa è quella dell’appartamento dove vive il custode. Sono le nove di sera della domenica più importante, e una volta qui era tutto potere. In giornate come questa l’hotel particulier del settimo arrondissement acquistato nel 1980 dal Partito socialista era il centro di tutto. Il cortile recintato dalle inferriate nere si riempiva di giornalisti fin dal primo pomeriggio, dalle finestre degli uffici al primo e secondo piano si vedeva gente che entrava e usciva, la frenesia della politica. Oggi tutto tace, tutto sembra vuoto. E il brindisi in favor di telecamera di qualche dirigente per lo scampato pericolo Le Pen sembra quello degli imbucati alle feste altrui.
Da qualche parte nel palazzo ci deve essere il segretario del Ps, Jean-Christophe Cambadélis, che prepara una dichiarazione. Se ne uscirà con un «risultato inquietante che non può soddisfare nessuno» utile solo a sancire la separazione definitiva dei socialisti dal loro elettorato, che da tempo ha scelto in massa Emmanuel Macron. Ma non ha alcuna importanza. Il Ps non sa neppure chi sarà il suo portabandiera alle imminenti elezioni legislative, destinate a spartire seggi all’Assemblea nazionale, e quindi vera resa dei conti. Forse l’arcigno Bernard Cazeneuve, ex ministro dell’Interno, attuale premier, fedelissimo di François Hollande già passato armi e bagagli con il nuovo presidente. I gangli della vita politica francese sono ormai
altrove. Per la gauche è cominciata davvero la traversata nel deserto. Il Ps si è trovato stretto tra il riformismo liberal macroniano e il radicalismo di Jean-Luc Mélenchon. Ne è uscito a pezzi. Venerdì scorso l’assemblea nazionale del partito è stata annullata per la scarsa affluenza. Ci riproveranno martedì. Manuel Valls, l’ex uomo forte che dopo aver perso le primarie interne ha votato Macron, va ripetendo che il Ps è morto, e questa volta la notizia non sembra fortemente esagerata. «Se continuiamo così — dice l’ex ministra Dominique Bertinotti — rischiamo di non avere più un futuro».
Ma dopo il grande risultato del primo turno, anche la France Insoumise di Melenchon rischia un brusco risveglio. La scelta «ni-ni» del loro leader, né con Le Pen né con Macron, non è stata indolore, se è vero che il 53 per cento dei suoi elettori ha disatteso l’indicazione votando per il nuovo presidente. «Mai nemici a sinistra» diceva François Mitterand, con il quale Mélenchon ha mosso i primi passi nel Ps, poi abbandonato nel 2008. Infatti. Siamo all’odio puro, ormai. Il Ps non perdonerà mai a Mélenchon di avere lacerato il dogma dell’unità. E mentre alle legislative lo stato maggiore dei socialisti ha già annunciato che giocherà di sponda con i candidati di En Marche!, appoggiando o facendosi appoggiare al secondo turno, i voti della Francia non sottomessa saranno tenuti sottochiave.
Il benvenuto di Mélenchon a Macron fa già capire tutto. «Nasce la presidenza più deplorevole della Quinta Repubblica. Il programma del nuovo monarca è conosciuto, solo la nostra resistenza potrà essere vittoriosa». I sondaggi Ifop sulle intenzioni di voto danno En Marche al 22 per cento. France Insoumise «scende» al 16% rispetto al 19,5 raccolto da Mélenchon alle presidenziali, il Ps resta nel baratro al 9%. In gergo tecnico si chiama costruire, o ricostruire, sulle macerie.