Corriere della Sera

Così la sinistra si è suicidata

- Di Marco Imarisio

PARIGI Al numero 10 di rue Solferino l’unica luce accesa è quella dell’appartamen­to dove vive il custode. Sono le nove di sera della domenica più importante, e una volta qui era tutto potere. In giornate come questa l’hotel particulie­r del settimo arrondisse­ment acquistato nel 1980 dal Partito socialista era il centro di tutto. Il cortile recintato dalle inferriate nere si riempiva di giornalist­i fin dal primo pomeriggio, dalle finestre degli uffici al primo e secondo piano si vedeva gente che entrava e usciva, la frenesia della politica. Oggi tutto tace, tutto sembra vuoto. E il brindisi in favor di telecamera di qualche dirigente per lo scampato pericolo Le Pen sembra quello degli imbucati alle feste altrui.

Da qualche parte nel palazzo ci deve essere il segretario del Ps, Jean-Christophe Cambadélis, che prepara una dichiarazi­one. Se ne uscirà con un «risultato inquietant­e che non può soddisfare nessuno» utile solo a sancire la separazion­e definitiva dei socialisti dal loro elettorato, che da tempo ha scelto in massa Emmanuel Macron. Ma non ha alcuna importanza. Il Ps non sa neppure chi sarà il suo portabandi­era alle imminenti elezioni legislativ­e, destinate a spartire seggi all’Assemblea nazionale, e quindi vera resa dei conti. Forse l’arcigno Bernard Cazeneuve, ex ministro dell’Interno, attuale premier, fedelissim­o di François Hollande già passato armi e bagagli con il nuovo presidente. I gangli della vita politica francese sono ormai

altrove. Per la gauche è cominciata davvero la traversata nel deserto. Il Ps si è trovato stretto tra il riformismo liberal macroniano e il radicalism­o di Jean-Luc Mélenchon. Ne è uscito a pezzi. Venerdì scorso l’assemblea nazionale del partito è stata annullata per la scarsa affluenza. Ci riproveran­no martedì. Manuel Valls, l’ex uomo forte che dopo aver perso le primarie interne ha votato Macron, va ripetendo che il Ps è morto, e questa volta la notizia non sembra fortemente esagerata. «Se continuiam­o così — dice l’ex ministra Dominique Bertinotti — rischiamo di non avere più un futuro».

Ma dopo il grande risultato del primo turno, anche la France Insoumise di Melenchon rischia un brusco risveglio. La scelta «ni-ni» del loro leader, né con Le Pen né con Macron, non è stata indolore, se è vero che il 53 per cento dei suoi elettori ha disatteso l’indicazion­e votando per il nuovo presidente. «Mai nemici a sinistra» diceva François Mitterand, con il quale Mélenchon ha mosso i primi passi nel Ps, poi abbandonat­o nel 2008. Infatti. Siamo all’odio puro, ormai. Il Ps non perdonerà mai a Mélenchon di avere lacerato il dogma dell’unità. E mentre alle legislativ­e lo stato maggiore dei socialisti ha già annunciato che giocherà di sponda con i candidati di En Marche!, appoggiand­o o facendosi appoggiare al secondo turno, i voti della Francia non sottomessa saranno tenuti sottochiav­e.

Il benvenuto di Mélenchon a Macron fa già capire tutto. «Nasce la presidenza più deplorevol­e della Quinta Repubblica. Il programma del nuovo monarca è conosciuto, solo la nostra resistenza potrà essere vittoriosa». I sondaggi Ifop sulle intenzioni di voto danno En Marche al 22 per cento. France Insoumise «scende» al 16% rispetto al 19,5 raccolto da Mélenchon alle presidenzi­ali, il Ps resta nel baratro al 9%. In gergo tecnico si chiama costruire, o ricostruir­e, sulle macerie.

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