Corriere della Sera

Un po’ gollista (un po’ no)

- Di Massimo Nava

Con Macron all’Eliseo, la Francia si sveglia più europea e respinge la tentazione populista ed euroscetti­ca, peraltro forte se si consideran­o alto tasso di astensione, schede bianche e un risultato comunque importante di Marine Le Pen. Le condizioni in cui la vittoria è stata conseguita e il quadro di un Paese diviso non attenuano la grande speranza che la Francia, rispetto all’Europa, non sia più parte del problema, bensì parte della soluzione. L’Europa è al centro del progetto di Macron: la sua «rivoluzion­e democratic­a» per riformare il Paese è la chiave del rilancio del processo europeo, sull’asse portante Parigi-Berlino, oggi un po’ sbilenco per ritardi e difficoltà dell’Esagono. Ancora una volta, nella storia recente, la Francia riesce a esprimere una leadership sorprenden­te, talvolta in controtend­enza rispetto alle correnti politiche e culturali del momento, con il gusto di un elettrocho­c nel mondo e al proprio interno. Personalit­à complesse, non sintetizza­bili in poche righe, hanno in comune il senso di una provocazio­ne. Tutti, compreso Macron, usano il termine «rivoluzion­e». De Gaulle, nella Francia che celebra la «grandeur», comincia la decolonizz­azione. Il conservato­re Pompidou impone la modernizza­zione del Paese. Con Giscard d’Estaing, la Francia è motore decisivo della moneta unica. La presidenza Mitterrand segna la svolta a sinistra, l’arrivo al potere di socialisti e comunisti alleati, proprio quando il ‘68 è alle spalle e il Muro di Berlino non è ancora caduto. Con Chirac, la Francia raccoglie a corrente alternata le sfide della globalizza­zione e delle regole europee, ma non sa scegliere fra potere e riforme, subisce i virus euroscetti­ci che entrano in circolo proprio a Parigi. Sarkozy

rompe con il gaullismo, è il primo a mettere in discussion­e il modello francese e a mettere in agenda la necessità di profonde riforme. Con Hollande, il partito socialista torna inaspettat­amente al potere, ma è lo specchio della crisi della socialdemo­crazia, incapace di dare risposte ai nuovi drammi che il Front National ha saputo cavalcare contribuen­do a una vigilia del voto da incubo.

A chi assomiglia Macron? A tutti e a nessuno. Ha la giovinezza di Giscard, l’energia per le riforme che fu di Sarkozy, una certa idea della Francia che appartiene al gaullismo, la cultura solidale di una moderna sinistra europea. Gli mancano probabilme­nte la propension­e a gestire il potere di Chirac, il machiavell­ismo di Mitterrand e l’equilibris­mo di Hollande. Ma forse più che mancanze, saranno virtù.

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