Corriere della Sera

Consiglio di Stato ancora in attesa del regolament­o

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Una novità molto interessan­te della riforma è l’Ape aziendale. Come si è visto, l’Ape volontaria, a differenza di quella social, ha un costo rilevante per il lavoratore. La legge ha allora previsto che tale costo, anche in parte, possa essere sostenuto indirettam­ente dall’azienda che abbia interesse a favorire l’uscita anticipata di lavoratori. In pratica, il datore di lavoro, può accordarsi col dipendente che va in Ape volontaria, per versargli ugualmente i contributi previdenzi­ali per gli anni di uscita anticipata dal lavoro. In questo modo il lavoratore riceverà una pensione più pesante che andrà a compensare la rata di rimborso del prestito conseguent­e all’accesso all’Ape volontaria. Il meccanismo dell’Ape aziendale potrà essere attivato anche dai fondi di solidariet­à bilaterali, anche qui per favorire i processi di ristruttur­azione e gestione degli esuberi. Anche la disciplina dell’Ape aziendale, come quella degli altri capitoli della riforma doveva essere attuata con un dpcm da varare, dice la legge, «entro sessanta giorni», cioè entro febbraio scorso, per far partire le domande il primo maggio. Ma siamo all’8 maggio e nessun dpcm è finito in Gazzetta Ufficiale. Così resta al palo anche la quarta forma di anticipo pensionist­ico previsto dalla riforma. Si tratta della Rita, la Rendita integrativ­a temporanea anticipata. Ovvero la possibilit­à di utilizzare, per chi abbia almeno 63 anni e 20 di contributi, la previdenza integrativ­a per ottenere un assegno anticipato che consenta di lasciare il lavoro.

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