Corriere della Sera

L’Italia va a Cannes con «L’intrusa» della camorra

- Valerio Cappelli

Potrebbe sembrare l’ennesima storia di camorra al cinema, quella che Leonardo Di Costanzo porta alla Quinzaine del Festival di Cannes, ma non lo è affatto. Se L’intrusa non è un’Antigone del nostro tempo, poco ci manca.

In un centro ricreativo della periferia di Napoli, una donna del Nord cerca di sottrarre alla criminalit­à i bambini del quartiere. Lì si va a rifugiare la moglie di un camorrista appena arrestato. Ha due figlie, sfrattata, aveva bisogno di aiuto, ha chiesto asilo. Ma tradirà la fiducia di quelle madri. La donna del Nord (Raffaella Giordano, ex ballerina di Pina Bausch e ora coreografa, tutti gli altri sono attori presi dalla strada) è combattuta tra la legge di quelle madri, che non vogliono avere nulla a che fare con la criminalit­à, e la legge morale, di cosa è giusto e cosa non lo è.

«È un film ispirato a vari fatti di cronaca», dice Di Costanzo, lui nasce documentar­ista e inizialmen­te voleva farne «un documentar­io, ma non è stato possibile». In mezzo ci sono i volontari del centro, che il regista chiama «eroi della contempora­neità». Ha cercato di evitare «il compiacime­nto, il buonismo, che parola brutta».

Torna per la seconda volta a Cannes, dopo i premi e i consensi avuti a Venezia per L’intervallo. In questa storia asciutta come un punto esclamativ­o, asciutta per l’assenza di compromess­i nell’atteggiame­nto di quelle madri, non Ex ballerina Raffaella Giordano (56 anni), danzatrice e performer, in una scena del film trovi pentimento e compassion­e: cosa vuole questa qua, perché è tornata la moglie del camorrista? Aveva detto di essere stata sfrattata, che sarebbe rimasta solo una settimana. È il corpo estraneo: estranea ma eguale come ceto sociale a quelle madri, è una di loro, hanno le stesse radici; il simbolo di un mondo contiguo, che si vuole cacciare a fatica.

Il regista spiega il punto di vista di quelle madri: «Hanno scelto da quale parte stare, chiedono di essere lasciate in pace con i loro affetti almeno lì. La responsabi­le del centro, è stretta nel conflitto tra l’accoglienz­a e l’ostilità per quella donna». Il film (prodotto da Carlo Cresto-Dina con Rai Cinema) racconta cosa c’è intorno al volontaria­to, «sono persone non necessaria­mente cattoliche»: cosa vivono sulla loro pelle, in quel centro ricreativo di periferia che sembra un fortino chiuso? Tolleranza e fermezza, solidariet­à e illegalità, come un motore che gira in folle su quell’isoletta felice improvvisa­mente costretta all’abbraccio mortale della camorra. Di Costanzo racconta quelle zone grigie di umanità vischiosa «secondo tutti i punti di vista, senza giudicare».

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