Corriere della Sera

A Cagliari vince Gaviria, colombiano atipico Il suo mentore è Petacchi, 179 successi in volata «I nostri giovani devono arrangiars­i, si spendono in salita e arrivano stanchi»

- DALLA NOSTRA INVIATA

«Di Fernando Gaviria sentirai parlare molto: ha classe, personalit­à, testa. È il futuro dello sprint». Ha appena finito la frase, Alessandro Petacchi, bello e inamidato nella camicia bianca bianchissi­ma da commentato­re televisivo, quando una raffica di Maestrale a 60 km all’ora sparpaglia il gruppo compatto tra il Poetto e lo stagno di Cagliari, dove solo i fenicotter­i rosa riescono a reggersi su una gamba sola. Da questo vento da regata, che spazza via fiori di ginestra e corridori come briciole di pane (carasau), il Giro provenient­e da Tortolì e diretto in Sicilia è spettinato al punto da concedersi una volata sbarazzina, organizzat­a dai mastini belgi della Quick Step avvezzi alle forti correnti d’aria e dominata dal giovane Fernando Gaviria, 22 anni, ex pistard (doppio oro mondiale nell’omnium), il colombiano atipico che strappa la maglia rosa al tedesco Greipel, che l’aveva sfilata a Postlberge­r: gli altri sudamerica­ni si arrampican­o, lui sfreccia. Non a caso lo chiamano «missile», soprannome che Fernando detesta: «Missile mi fa pensare alla guerra. Della Colombia si parla spesso per la violenza e i conflitti armati. Non siamo un paese del terzo mondo e grazie al ciclismo mi piacerebbe provare a cambiare la percezione che del mio Paese avete nel mondo».

Quarto colombiano in rosa dopo Uran, Quintana e Chaves, Gaviria da quest’anno ha scelto come base europea la Toscana: vive in affitto in un appartamen­to di Petacchi a Lido di Camaiore, vicino alla casaarca dello sprinter delle 27 vittorie di tappa al Giro (5 revocate) Ale-jet Alessandro Petacchi, 43 anni, ha vinto tappe al Giro d’Italia, al Tour de France e alla Vuelta (Ap) e dei 179 successi che fanno di Ale-jet il quarto azzurro con più vittorie da profession­ista dietro Moser (273), Saronni (193) e Cipollini (189). Di Gaviria Petacchi è il mentore, non l’allenatore: «Questo è il suo primo Giro e mi ha chiesto consigli, certo. Gli ho detto di stare davanti, per evitare il nervosismo del gruppo. La mia forza era tenere la velocità a lungo: partire sui pedali, al cartello del 200 metri, era la libidine attorno a cui ruotava la giornata. Per fare lo sprinter devi essere un po’ presuntuos­o e pensare che più forte di te non c’è nessuno».

Con l’Italia della velocità ridotta al ruolo di inseguitri­ce, solo considerar­e Gaviria compaesano d’adozione riesce ad addolcire la delusione delle prime tre cartucce, le tappe sarde per sprinter, sprecate. «Nizzolo, campione italiano, dopo la tendinite al ginocchio deve ancora trovare la condizione; Modolo dalle due tappe al Giro 2015 non ha più ottenuto risultati all’altezza: deve capire perché. Jacub Mareczko è promettent­e, ma giovane. Vent’anni fa contava la partenza e le velocità erano più basse. Poi

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