Corriere della Sera

«Più coraggio, meno burocrazia per rinnovare lo sport italiano»

«Basta con i compitini, va snellito il sistema politica-Coni, investire nella scuola»

- Domenico Calcagno Daniele Dallera

La prima è stata una vittoria contro pronostico, la seconda si annuncia molto più semplice. Giovedì Giovanni Malagò sarà rieletto alla presidenza del Coni. Ha un solo avversario, Sergio Grifoni, ex presidente della federazion­e Sport Orientamen­to, una candidatur­a quasi più simbolica che reale. Insomma, è molto più che favorito Malagò ed è normale che sia già concentrat­o sul dopo confronto elettorale.

Perché ha deciso di ricandidar­si?

«Per tre buone ragioni soprattutt­o. Incrementa­re il trend di crescita della pratica sportiva, migliorare e consolidar­e i risultati di vertice e riformare il sistema: oggi ci muoviamo in una babele di norme, vorrei riuscire a uniformare statuti e regolament­i».

Pratica sportiva. Il Corriere ha da poco pubblicato un’inchiesta sullo sport nelle scuole: certifica che se ne fa pochissimo rispetto agli altri Paesi.

«L’ho letta e me la sono ritagliata. Mette a nudo il rapporto sistema scolastico-sport che non è felice. Noi abbiamo fatto molto, magari meno del previsto, ma ci siamo impegnati con progetti e iniziative, con l’invio di tutor nelle scuole. Il problema è che gli altri Paesi, che sono poi i nostri avversari alle Olimpiadi, hanno consolidat­o, compiuto ulteriori passi in avanti, lasciandoc­i in coda. È come se dovessimo correre una maratona e noi partissimo con uno zaino sulle spalle, una zavorra mostruosa. Ma, malgrado questo, in Italia si fa più sport. E per fortuna esiste un diffuso, capillare associazio­nismo che attenua il peso dello zaino. Grazie al nostro sistema, alle associazio­ni, alle federazion­i, al Coni riusciamo a rimanere tra i primi. Non avessimo questa organizzaz­ione saremmo sprofondat­i. Vorrei ricordare quello che ha detto Steve Redgrave, una leggenda dello sport».

Prego.

«Alla domanda se ritenesse il sistema britannico il più efficace, Sir Redgrave ha risposto: no,

il miglior sistema sportivo è quello italiano, noi investiamo solo negli sport in cui eccelliamo, gli altri li abbandonia­mo al loro destino. È così, in Italia invece si fa tutto, ci sono 140 mila società sportive, in Inghilterr­a sono di gran lunga meno».

Passiamo alle riforme.

«Il Coni fa tante cose: organizza e promuove la pratica sportiva, è tra i più prestigios­i comitati olimpici ma — e questo forse non tutti lo sanno — non legifera. Le leggi le fa la politica e se le leggi non vengono cambiate le riforme si bloccano. Un esempio: le province sono di fatto abolite, ma secondo la legge Melandri-Pescante noi invece abbiamo ancora i loro rappresent­anti. C’è poi un altro problema: in quattro anni ho avuto come interlocut­ori sei ministri o sottosegre­tari con delega allo sport, ognuno con il suo staff. E per fortuna ho avuto ottimi rapporti con tutti».

In sostanza non se ne esce.

«Servirebbe una legislatur­a piena per riformare, modernizza­re e liberare risorse per l’attività sportiva. Noi facciamo quello che possiamo, ma abbiamo avuto risultati importanti. Nell’ultimo anno il Coni ha raggiunto 456 milioni di ricavi, un successo».

Intanto il movimento olimpico sembra in crisi: nessuno sembra più volere i Giochi e il Cio ha deciso di assegnare in un colpo solo quelli del 2024 e del 2028.

«È un momento storico complesso, oggi il mondo cambia molto velocement­e e forse occorre ragionare sui tempi che passano dalla candidatur­a all’inizio della manifestaz­ione. Pensate al Brasile: quando ha vinto la corsa era in una fase di grande espansione, quando è arrivato il momento dei Giochi era in piena recessione. Il Cio nel 2014 ha cambiato le regole, rendendo di fatto meno costoso organizzar­e un’Olimpiade, ma non è bastato e il problema credo siano i tempi».

Quindi andrebbe snellita la procedura candidatur­a-assegnazio­ne?

«Oggi una città ha sette anni per fare cose che nemmeno servono più. La riforma di tre anni fa deve essere integrata, tutto va eso più elastico, bisogna pensare a impianti provvisori per ospitare molte gare. Sette anni avevano un senso quando organizzar­e un’Olimpiade significav­a ricostruir­e mezza città, costruire stadi, impianti che non sarebbero più serviti una volta finiti i 17 giorni di gare. Oggi solo per una candidatur­a può bastare un anno, un anno e mezzo. Su questo bisognereb­be ragionare, ma il modello organizzat­ivo del Cio penso sia ancora valido o per lo meno non vedo come possa essere sostituito adesso».

Parlando di Giochi, quanto brucia ancora il progetto negato di Roma 2024?

«Provo ancora un grande dolore e una rabbia enorme, che non passa. E la cosa della quale proprio non riesco a farmi una ragione è aver detto no a 1,7 miliardi di dollari che il Cio avrebbe dato a Roma per i Giochi. Peggio: si è detto no a 170 mila posti di lavoro per sette anni e so bene, per i curriculum che ricevo ogni giorno — per altro, essendo un funzionari­o pubblico, non posso assumere nemmeno la mia segretaria —, quanto bisogno c’è di lavoro. Non bastasse, chi ha detto no lo ha fatto senza neppure considerar­e una proposta alternativ­a».

Anche la Ryder Cup di golf ha rischiato di andare altrove.

Il no a 170 mila posti di lavoro Aver negato Roma 2024 al Paese mi provoca ancora rabbia e dolore, ma la cosa grave è aver detto no a 1,7 miliardi di euro del Cio e a 170 mila posti di lavoro

«Sì, ma poi il governo ha risolto il problema. Il Coni, però, le sue battaglie le ha sempre vinte. Avremo i Mondiali a Cortina dopo anni di tentativi falliti, i Mondiali di volley il prossimo anno, i Mondiali di ritmica e quelli di pattinaggi­o».

Parliamo di calcio, è preoccupat­o?

«Non credo che il calcio abbia più problemi di altri sport, sempliceme­nte i suoi hanno una maggiore evidenza. Ora la Lega di serie A — che è il motore del calcio — è commissari­ata, quella di B lo è potenzialm­ente, però il movimento è forte e i numeri lo confermano. Piuttosto, penso che tanti problemi di oggi, dalla violenza degli ultrà, al razzismo, alle basse presenze negli stadi nascano da scelte discutibil­i fatte quando tutto andava bene. Il momento di svolta è stata la sconfitta della candidatur­a italiana agli Europei del 2012, che andarono a Polonia e Ucraina. In quel momento era tutto pronto, compresi i finanziame­nti per rinnovare gli stadi. Poteva essere una svolta positiva, è stata l’avvio della discesa».

Per chiudere: cosa servirà allo sport nei prossimi quattro anni?

«Coraggio, perché è finito il tempo dei compitini; un referente istituzion­ale continuo con il quale lavorare e tante nuove e buone idee».

Vanno cambiate le leggi Mai dimenticar­e che il Coni organizza e promuove lo sport, ma non legifera: le leggi le fa la politica e se le leggi non vengono cambiate le riforme si bloccano

 ??  ?? Calcio a 5 Giovanni Malagò, 58 anni, presidente del Coni, ha vinto tre scudetti e quattro Coppe Italia nel calcio a 5. Nell’82 ha partecipat­o con l’Italia al Mondiale in Brasile (LaPresse)
Calcio a 5 Giovanni Malagò, 58 anni, presidente del Coni, ha vinto tre scudetti e quattro Coppe Italia nel calcio a 5. Nell’82 ha partecipat­o con l’Italia al Mondiale in Brasile (LaPresse)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy