Le mille vite di «Gomorra», caso tv di persistenza del classico
Vedere le ultime puntate della seconda stagione di «Gomorra – la serie» in onda venerdì sera su Rai3 è stato un buono spunto per tornare a riflettere su quella che, osservata ormai a una giusta distanza prospettica dal suo lancio iniziale, può essere senza esitazioni definita come la serie più importante nella storia recente della tv italiana.
Non mi riferisco solo a un aspetto narrativo, che pure è molto importante. «Gomorra» ha uno stile visivo molto riconoscibile, una patina scura e livida che avvolge tutto il racconto, una storia che presenta molti punti di ingresso, con il racconto di camorra che è solo uno dei motori narrativi della serie. C’è anche una storia di rapporti familiari, un racconto potente delle relazioni tra padri e figli. È anche grazie alle molte ore messe a disposizione dal formato tv che la serie ha superato in complessità il libro e il film da cui è tratta.
Ma oltre al piano della narrazione c’è di più, perché «Gomorra» è stata molto importante anche come modello di sviluppo di una fiction italiana al passo con il complesso scenario tv contemporaneo. È una serie concepita sin dall’inizio per «fare catalogo», cioè per essere valorizzata anche oltre alla prima trasmissione su Sky e ripagare gli alti investimenti economici che servono per mettere in piedi un progetto del genere. Dopo il lancio su Sky Atlantic, la serie ha vissuto molte vite: ha viaggiato in moltissimi contesti internazionali (ed è il primo caso per un prodotto italiano), contribuendo a dare credibilità alla fiction italiana e aprendo la strada alla circolazione di più produzioni italiane nel mondo, a patto di soddisfare certi standard qualitativi.
A distanza di un anno, gode di una nuova vita sulla tv di Servizio Pubblico, per un’audience più ampia e generalista che l’ha seguita in modo fedele durante le settimane, cosa non scontata. Le molte vite di «Gomorra» sono un caso televisivo di persistenza del classico.