Corriere della Sera

Me ne inFisco

- Di Massimo Gramellini

Apprendiam­o con viva e vibrante preoccupaz­ione che, tra le categorie soggette ai famigerati studi di settore, i commercian­ti si sono conquistat­i la palma della più disgraziat­a. Nei mesi scorsi avevamo appreso con altrettant­o sgomento che gli impiegati guadagnano più dei loro capi e praticamen­te non passa stagione senza la sua bella relazione, da cui si evince che l’Italia è un Paese di tassatori avidi e di tassati aridi, ai limiti dell’indigenza. Ogni statistica fiscale ha il potere di mettere tutti di cattivo umore. I contribuen­ti sotto esame, che si sentono esposti alla gogna come evasori quando invece si consideran­o vittime di uno Stato che pretende molto, paga poco e restituisc­e ancora meno in termini di servizi. E i contribuen­ti a reddito fisso, che non avendo neanche la possibilit­à di evadere, guardano gli altri con diffidenza e cupa ostilità. Da qualunque parte lo si osservi, questo genere di studi contribuis­ce non poco ad alimentare quel clima di rancore indistinto e rabbia repressa che avvelena il discorso pubblico, al bar come sul web.

Perciò, signori delle tasse, avrei un favore da chiedervi: evitate di dirmi quanto guadagnano e quanto versano, o non versano, le varie tribù di italiani. Prendete gli evasori veri, quando li trovate. Per il resto preferirei non sapere più niente. Con una certa dose di umorismo vi siete definiti «Fisco amico». Allora ricordatev­i di quel film in cui, a chi gli raccontava di avere visto la sua ex con un altro, Massimo Troisi replicava: «Ma se sei mio amico, me lo dovevi proprio dire?».

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