Corriere della Sera

TROPPI BLUFF SULLA LEGGE ELETTORALE

Scenario Il pericolo scampato in Olanda e Francia non deve trarre in inganno: in Spagna e soprattutt­o in Italia le forze antisistem­a possono trovare la loro rivincita

- Di Antonio Polito

Matteo Renzi ha confessato di «rosicare» di fronte allo spettacolo democratic­o del sistema francese. Sapesse noi, cittadini elettori dell’unico Paese dell’Occidente che, anche volendo, non può andare a votare, perché non ha una legge elettorale utilizzabi­le. Per una democrazia la legge elettorale è come il volante per un autista: se non ce l’ha non può guidare. E siccome dovrebbero essere gli elettori a guidare la macchina democratic­a, si deve dire che al momento in Italia la democrazia è ridotta, parziale, ferita.

È il frutto di una lunga stagione di errori, trucchi e imbrogli delle forze politiche di centrodest­ra e di centrosini­stra che si sono alternate al governo nell’ultimo decennio. Le prime partoriron­o un sistema opportunam­ente definito Porcellum, poi dichiarato incostituz­ionale dalla Consulta; le seconde strapparon­o con un voto di fiducia al Parlamento un sistema orgogliosa­mente definito Italicum, anch’esso dichiarato incostituz­ionale nella sua parte più creativa, il ballottagg­io. Così ora è rimasto in piedi il moncherino di un Porcellum per il Senato e la carcassa di un Italicum per la Camera. Se andassimo a votare oggi non solo non avremmo un vincitore o una maggioranz­a, ma potremmo addirittur­a trovarci due diversi primi arrivati nelle due Camere. Un incubo.

Tutto ciò si sa, non fosse altro perché l’ha detto più volte il capo dello Stato, chiedendo ai legislator­i di provvedere con urgenza.

La vittoria di Macron è un sospiro di sollievo più che un inno alla gioia. Continuare come se nulla fosse, pensare che la nottata sia finita, dare per sconfitto il populismo sarebbe un grande errore; come si vedrà tra un mese alle elezioni legislativ­e, quando Marine Le Pen potrebbe portare un centinaio di deputati all’Assemblea nazionale (oggi ne ha due), cui se ne aggiungera­nno molti altri di estrema sinistra. Se il presidente imporrà la svolta liberale promessa, lo attende una fortissima opposizion­e sociale, anche violenta, che si è manifestat­a in embrione con un primo corteo parigino sul sempiterno percorso République-Nation. E lo scenario non riguarda solo la Francia, ma l’Europa; a cominciare dall’Italia.

Macron al primo turno è stato votato dai riformisti e dai moderati. Al secondo ha potuto contare sui francesi che non volevano all’Eliseo Marine, tornata Madame Le Pen. Ma alle legislativ­e si gioca con altre regole. Va al ballottagg­io chi supera il 12,5% (non dei votanti ma degli iscritti alle liste elettorali): in molti collegi ci saranno quattro candidati, e si vincerà per un pugno di voti. L’astensione crescerà, e questo è un vantaggio per il Front National. I socialisti si stanno dividendo tra chi entrerà nelle liste di Macron — come l’ex premier Valls —, chi si prepara a raggiunger­lo dopo il voto, e chi invece rafforzerà la Gauche dura e pura di Mélenchon. Anche la destra repubblica­na pagherà un salasso al big bang del 7 maggio.

Di solito le legislativ­e sono vinte dal partito del presidente appena eletto; e «La République en marche», nuovissimo nome del nuovo movimento, avrà più deputati degli altri. La maggioranz­a assoluta appare però lontanissi­ma. Questo non impedirà a Macron di fare le sue riforme. Mitterrand governò senza maggioranz­a assoluta per cinque anni, tra l’88 e il ’93 (prima della coabitazio­ne con la destra). Ma la Francia europeista, ottimista, aperta al mondo cammina su un sentiero più stretto di quel che appare. Macron dovrà cercare alleati nei vecchi partiti. E fronteggia­re sia una forte opposizion­e in Parlamento, sia un movimento di protesta nella società, che tenterà di fermare la liberalizz­azione

del mercato del lavoro.

La Francia e prima ancora l’Olanda hanno segnato due battute d’arresto per il populismo, dopo i trionfi del 2016. Ma la partita è ancora tutta da giocare. La prossima battaglia si combatte in Spagna, dove il 20 maggio si vota per le primarie del Partito socialista: sono volati insulti tra Susana Diaz, donna d’ordine, disposta a lasciar governare i popolari di Rajoy, e Pedro Sanchez, tentato dall’accordo con Podemos; anche il Psoe, un partito che Felipe Gonzalez (andaluso come la Diaz e suo mentore) aveva portato oltre il 48%, rischia di lacerarsi.

Le ragioni del grande ma-

a cura di Carlo Baroni lessere che hanno fatto nascere i populismi sono ancora tutte lì, intatte. L’egemonia tedesca, imposta attraverso l’euro forte e il rigore di bilancio, non si attenuerà certo sotto elezioni: la Merkel non può e non intende concedere più di tanto a Macron, meno ancora agli altri. L’ascensore sociale resta ovunque bloccato: la ricchezza viene «estratta» dai patrimoni immobiliar­i e dalle rendite di capitali, più che creata con il lavoro, troppo tassato; e invano il nuovo presidente francese proverà a chiedere subito un ministro delle Finanze unico per l’Europa, un fisco comune, l’estensione dei diritti ai lavoratori all’Est, per evitare il dumping sociale all’interno dell’Unione. Classi popolari e ceti medi chiedono protezione e opportunit­à; e lo sfogatoio della Rete rinfocola la rabbia, incanala la legittima tensione della protesta nel mare magno del rancore, trasforma la discussion­e pubblica nella rissa di tutti contro tutti. Vladimir Putin, Donald Trump e chi vuole un’Europa debole sono pronti ad approfitta­rne, anche a colpi di hacker e di tweet.

Ma le forze antisistem­a, per vincere, non possono schiacciar­si a destra, come il Front National in Francia, o a sinistra, come Podemos in Spagna. Devono essere trasversal­i, prendere voti di qua e di là. E sono più forti dove lo Stato è più distante, il discredito della politica maggiore, il disagio economico più grave. Là dove non si conosce alle 8 della serata elettorale il nome del presidente con un mandato di cinque anni, anzi; non si sa quando si voterà e con quale legge, né chi vincerà davvero e quale governo potrà formare. Insomma, il Paese dove i populisti possono trovare la loro rivincita è proprio l’Italia.

Agenda Il prossimo appuntamen­to sono le primarie in Spagna del Partito socialista

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