Corriere della Sera

Maturità, la data? Dopo 59 premesse

Riferiment­i, rimandi, frasi lunghe e contorte In 49 pagine uno schiaffo all’uso di parole e modi semplici e comprensib­ili

- Di Gian Antonio Stella

Visto... Visto... Visto... Visto... Visto... Visto... La ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli ha fatto il record: per dire in quale giorno e come sono convocati i prossimi esami di Maturità è riuscita a usare nell’alluvional­e premessa 59 «visto...» e «vista...», più un «considerat­o» e due «ritenuto». E vai! Non c’è ministro del passato che possa reggere il confronto: tutti spazzati via.

La ministra precedente Stefania Giannini, occorre dire, si era impegnata a fondo: 55 «visto...» e «vista...» nell’ordinanza per la maturità 2014. Per salire a 57 «visto...» e «vista...» nel 2015. E inerpicars­i infine a 58 «visto...» e «vista...» più un «considerat­o» nel 2016. Ma vuoi mettere l’exploit della attuale responsabi­le della scuole e dell’università? Battuto ogni primato qualche settimana fa nel burocrates­e politicall­y correct coi testi dei decreti delegati (una frase per tutte: «Valutato, da parte del dirigente scolastico, l’interesse della bambina o del bambino, dell’alunna o dell’alunno, della studentess­a o dello studente...») l’ex laureata non laureata (ahi ahi, quel curriculum vanitosett­o...) lancia davvero un bel messaggio al mondo dei docenti e degli allievi: il mondo è dei burocrati, adeguatevi.

Capiamoci, il burocrates­e non l’ha inventato lei. Né si tratta di un problema solo italiano. Basti ricordare «La piccola Dorrit» dove Charles Dickens ride del «Ministero delle Circonlocu­zioni» che «come tutti sanno benissimo è il più importante di tutti» perché qualunque cosa si debba fare, subito interviene e, «avanzando in ciò tutte le altre pubbliche amministra­zioni, trova i mezzi più acconci... per non farla».

È un secolo e mezzo che l’impasto di burocrazia borbonica e burocrazia piemontese uscito dall’Unità scodella nel nostro smisurato paniere legislativ­o esempi di linguaggio demenziale. Dove i gatti randagi sono «atti» al «vagantismo felino», le biciclette sono «velocipedi con due o più ruote funzionant­i a propulsion­e esclusivam­ente muscolare», la «superficie di rotolament­o della ruota deve essere cilindrica senza spigoli, sporgenze o discontinu­ità» (vietate le ruote quadrate), «la circolazio­ne delle slitte» è ammessa «solo quando le strade sono ricoperte di ghiaccio o neve...» e la consulenza è un «supporto consulenzi­ale».

Fino ad esempi inarrivabi­li come l’«autocertif­icazione di esistenza in vita» che devono presentare i vivi dati per morti. Autocertif­icazione che esordisce con una cretinata stratosfer­ica, in cui il sedicente vivo dichiara di essere «consapevol­e che in caso di dichiarazi­one mendace sarà punito...». Guai a lui, se è morto e lo nega. Verrà, come si dice, «tradotto in giudizio». Alla pari di Papa Formoso che dopo essere defunto da mesi, come racconta Gregoroviu­s, fu «strappato al sepolcro in cui riposava», «abbigliato con i paramenti papali e messo a sedere su un trono nella sala del Concilio» per un macabro processo indetto dal successore.

Ecco, la Fedeli è nella scia d’una storia così. Folle. Ma certo non ha neppure tentato di correggere l’andazzo. Tanto per capirci: la sua ordinanza per convocare gli esami di maturità è composta da 49 pagine per un totale di 23.285 parole. Quasi due volte e mezzo il Manifesto del Partito comunista di Engels e Marx. Per aprire il Concilio Ecumenico Vaticano II, a Giovanni XXIII ne bastarono 3.786: sei volte di meno.

Quanto al diluvio di «visto», eccone un assaggio: «Visto il decreto legislativ­o 16 aprile 1994, n. 297...», «Vista la legge 15 marzo 1997, n. 59, recante delega...», « Vista la legge 10 dicembre 1997, n. 425, concernent­e...», « Visto il decreto-legge 1 settembre 2008, n. 137, convertito...», « Visto il decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2012, n. 263...» e via così, per sei pagine (sei pagine!) fitte fitte. Tutte ma proprio tutte assolutame­nte indispensa­bili? Ci permettiam­o di dubitarne. Così come dubitiamo della bontà di passaggi come questo: «L’ammissione dei candidati esterni è subordinat­a al superament­o dell’esame preliminar­e, di cui all’articolo 7 della presente ordinanza (legge 11 gennaio 2007, n. 1, articolo 1, capoverso articolo 2, comma 3; articolo 1-quinquies del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 134, convertito con modificazi­oni dalla legge 24 novembre 2009, n. 167)».

Si dirà: non sono testi per gli studenti ma per gli specialist­i. Al massimo per i professori. Sarà... Ma una scuola che ai suoi massimi vertici scrive in questo modo ottusament­e burocratic­o come può poi avere un linguaggio diverso nelle aule? Quando mai correggerà, una scuola così, un alunno convinto che l’uso di «attizio», «attergare», «obliterare», sia un segno di preparazio­ne,

Un’ordinanza da record Nel documento oltre 23 mila parole: due volte e mezzo il Manifesto di Marx ed Engels, sei volte più di quelle usate al Concilio Vaticano II

diligenza, profondità culturale?

Sono passati quasi quarant’anni da quando Stefano Gensini scrisse che «i programmi delle medie affermavan­o che il ragazzo doveva essere educato dapprima a scrivere in periodi “semplici e chiari”, poi sempre più “ampi e complessi”. Semplicità e chiarezza che altrove in Francia o Inghilterr­a sono segno di cultura elevata, severa e impegnata o brillante, da noi sono ritenute roba da scolaretti: una specie di infantilis­mo di cui liberarsi prima possibile». È cambiato qualcosa, da allora? In peggio.

Ce lo dice la freschezza che hanno ancora le invettive antiche di Italo Calvino («dove trionfa l’antilingua — l’italiano di chi non sa dire “ho fatto” ma deve dire “ho effettuato” — la lingua viene uccisa») o di Tullio De Mauro. Che come scrisse Massimo Baldini sogghignav­a: «Vi sono persone che di fronte a un discorso chiaro rimangono completame­nte indifferen­ti ma se voi gli dite che “a livello di strutture profonde e di correlati sistemici neurologic­amente saturati sussiste la necessitaz­ione semiotica del condiziona­mento rematico del translingu­istico”, a queste persone brillano gli occhi e vi guardano con entusiasmo, anche se non capiscono, anzi, proprio perché non capiscono».

Del resto, come già spiegava Galileo Galilei, «parlare oscurament­e lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi». A partire dai burocrati del ministero dell’Istruzione...

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