Veleni e sospetti sabotaggi
Beppe Grillo aveva previsto il sabotaggio, ma preventivo. «Ci faranno trovare l’emergenza per dare la colpa a Virginia», profetizzava prima delle elezioni del 2016. E pure la futura sindaca, intervistata dal settimanale Oggi, lanciava messaggi: «Notiamo strani movimenti intorno ai rifiuti. Mormorano che si vogliono lasciare questi problemi al prossimo sindaco…». Segnali che il nervo era scoperto ancor prima di iniziare a giocare la partita. E non poteva essere diversamente per una forza politica che predica la teoria del rifiuto zero contro ogni genere di impianto, dovendo però amministrare una città che produce 5 mila tonnellate al giorno di spazzatura.
Un pandemonio, fatalmente destinato a spiovere in quella frase pronunciata lunedì da Virginia Raggi, mentre l’immondizia tracimava dai cassonetti: «Nell’impianto di Rocca Cencia sono stati registrati atti di sabotaggio». E che quei fatti si siano verificati è incontestabile. Un oggetto che ottura la presa d’aria di un motore non finisce lì per caso, soprattutto se la conseguenza è il surriscaldamento dello stesso motore Il continuo scarico di responsabilità sul disastro ereditato non funziona più
con relativo blocco per cinque ore dell’impianto. Così come non è certo un colpo di vento che rovescia i pesantissimi cassonetti ricolmi di immondizia, impossibili da rialzare se non con l’aiuto di un mezzo meccanico, né un mozzicone di sigaretta che li manda a fuoco. Episodi non trascurabili. Ma di sicuro non le prime pratiche di stile luddista che l’Ama deve sperimentare. Tanto per dirne una, ben più grave fu l’incendio che nel 2015, quando al Comune non c’erano grillini ma Ignazio Marino, paralizzò non per cinque ore ma per cinque mesi i macchinari sulla Salaria. Di conseguenza l’Ama fu costretta a portare la spazzatura al re della monnezza Manlio Cerroni.
Diverse le tecniche di sabotaggio, differenti anche le motivazioni. Tutto oggi, al contrario di ieri, depone per una guerra interna all’azienda. Dove l’aria intorno al direttore generale Stefano Bina non sembra molto respirabile. Nei siti internet che sposano le ragioni dei suoi oppositori campeggia questa parola: «Tradimento». Imputato, a quanto pare, proprio ai 5 stelle.
Troviamo quella parola in un post pubblicato dall’Agoa, acronimo che sta per Agenzia giornalistica operatori AmaAtac. Dove c’è scritto: «C’era un patto con il movimento: cambiare il management aziendale (...). Il tradimento sta nel non aver accettato il piano dei lavoratori, aver lasciato il management al suo posto (…) e di non aver sostituito il direttore generale lombardo estraneo alla città e ai lavoratori». Nome e cognome. Stefano Bina. Ovviamente
impossibile stabilire un collegamento fra certi episodi e quelle parole, che comunque indicano un clima.
Perché qualcosa si è rotto. Così una situazione già complicata, rischia di diventare sempre meno governabile: tanto più se, a giudicare dalle reazioni dei cittadini, lo scarico delle responsabilità sul disastro ereditato dai predecessori smette di funzionare. Il fatto è che la faccenda dei rifiuti rischia davvero di essere il primo problema serio della giunta grillina con la città che finora le ha perdonato tutto. A meno che, come da alcune parti si ipotizza, la patata bollente non finisca a qualcun altro, per esempio un commissario. Ovvero, la Regione. Ovvero, il Pd.
Un disegno perfetto: governare la città, ma stare comodamente all’opposizione nella partita più rognosa per il Movimento. Quella dei rifiuti.
L’eredità