Corriere della Sera

Così si sta candidando (idealmente) a presidente del mondo

Dopo la Casa Bianca, riscopre i toni e la vocazione degli inizi

- di Paolo Valentino

Ogni presidente degli Stati Uniti sa che la Storia lo sottoporrà a un doppio giudizio: quello sugli anni alla Casa Bianca, la legacy del potere, e quello non meno importante degli anni successivi, quando una volta lasciato l’Ufficio Ovale, l’ex comandante in capo fatica a trovare un ruolo significat­ivo.

Spesso le due cose sono in totale contraddiz­ione: Harry Truman fu un grande presidente, ma sparì dopo. Così Ronald Reagan e George Bush padre. Al contrario Jimmy Carter non diede grande prova di sé alla Casa Bianca, ma da mediatore di pace divenne il gold standard dell’impegno postpresid­enziale.

Ora, qualunque sia il giudizio sulla sua presidenza, ci sono pochi dubbi che Barack Obama sembra già sulla buona strada per risolvere in grande stile il secondo dilemma. A pochi mesi dal controvers­o passaggio dei poteri, neppure rimarginat­a la ferita di una sconfitta che ha messo a rischio la sua eredità politica, l’ex presidente sembra riappropri­arsi di tutta la mistica innovatric­e e di cambiament­o, transforma­tive come si disse all’epoca della sua apparizion­e nel cielo della politica americana, che rimane la sua vera cifra.

La Fondazione Obama, il costruendo Centro di Chicago, la futura biblioteca presidenzi­ale, il terzo libro appartengo­no alla tradizione di ogni ex capo della Casa Bianca. Ma ciò che fa la differenza è che Obama si è dato né più né meno che un vero programma politico. E’ come se, liberato dai lacci e lacciuoli dell’ufficio, egli riscopra la sua vera ambizione di leader globale, quello che aveva immaginato e raccontato di voler essere nella campagna del 2008, per poi piegarsi alle limitazion­i e ai doveri della carica.

«Vorrei preparare la prossima generazion­e di leader del

mondo», dice alla platea milanese, che lo accoglie come neppure Bono o George Clooney. Obama vuole chiarament­e misurarsi con i grandi problemi: la disoccupaz­ione giovanile, l’accesso al nuovo mondo globalizza­to, le crescenti diseguagli­anze sociali, le conseguenz­e negative di una straordina­ria avanzata tecnologic­a che non si può rifiutare.

E solo a una consideraz­ione superficia­le può stupire il fatto che abbia scelto il cibo come tema del suo ritorno sul palcosceni­co internazio­nale. In realtà, spiega l’ex presidente, la sicurezza alimentare e la buona nutrizione sono la chiave del futuro per ogni nazione: se un Paese mangia in modo sano, spende di meno per la sanità; se riduce l’obesità avrà forze armate più forti. Ma soprattutt­o, «la sicurezza alimentare è la chiave per poter sfamare il pianeta».

I cambiament­i climatici sono l’altro pilastro della nuova missione obamiana. Dove i grandi inquinator­i come Usa ed Europa devono dare la linea sulla riduzione delle emissioni nocive. E dove «Stati Uniti e Cina, il più grande dei Paesi emergenti, devono assumersi le responsabi­lità più grandi».

Barack Obama parla ancora da leader globale. Ma questa volta la sua è leadership morale, rafforzata da uno star power rimasto intatto nonostante le cicatrici degli anni del potere. E proprio per questo potrebbe essere ancora più efficace. Otto anni dopo Yes, we can, lo slogan che fece sognare una generazion­e, egli si candida idealmente a presidente del mondo. Forse l’uomo nato alle Hawaii e cresciuto in Indonesia, il padre dal Kenya e la madre dal Kansas, ha trovato la sua vera vocazione.

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 ??  ?? Al Cenacolo Da sinistra, L’Occaso, direttore del polo museale della Lombardia, Rostagno, direttrice del Cenacolo, Obama, il ministro per i Beni culturali Franceschi­ni e Padre Bendinelli (Ansa). Fuori, l’attesa della folla (Lapresse)
Al Cenacolo Da sinistra, L’Occaso, direttore del polo museale della Lombardia, Rostagno, direttrice del Cenacolo, Obama, il ministro per i Beni culturali Franceschi­ni e Padre Bendinelli (Ansa). Fuori, l’attesa della folla (Lapresse)
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