Così si sta candidando (idealmente) a presidente del mondo
Dopo la Casa Bianca, riscopre i toni e la vocazione degli inizi
Ogni presidente degli Stati Uniti sa che la Storia lo sottoporrà a un doppio giudizio: quello sugli anni alla Casa Bianca, la legacy del potere, e quello non meno importante degli anni successivi, quando una volta lasciato l’Ufficio Ovale, l’ex comandante in capo fatica a trovare un ruolo significativo.
Spesso le due cose sono in totale contraddizione: Harry Truman fu un grande presidente, ma sparì dopo. Così Ronald Reagan e George Bush padre. Al contrario Jimmy Carter non diede grande prova di sé alla Casa Bianca, ma da mediatore di pace divenne il gold standard dell’impegno postpresidenziale.
Ora, qualunque sia il giudizio sulla sua presidenza, ci sono pochi dubbi che Barack Obama sembra già sulla buona strada per risolvere in grande stile il secondo dilemma. A pochi mesi dal controverso passaggio dei poteri, neppure rimarginata la ferita di una sconfitta che ha messo a rischio la sua eredità politica, l’ex presidente sembra riappropriarsi di tutta la mistica innovatrice e di cambiamento, transformative come si disse all’epoca della sua apparizione nel cielo della politica americana, che rimane la sua vera cifra.
La Fondazione Obama, il costruendo Centro di Chicago, la futura biblioteca presidenziale, il terzo libro appartengono alla tradizione di ogni ex capo della Casa Bianca. Ma ciò che fa la differenza è che Obama si è dato né più né meno che un vero programma politico. E’ come se, liberato dai lacci e lacciuoli dell’ufficio, egli riscopra la sua vera ambizione di leader globale, quello che aveva immaginato e raccontato di voler essere nella campagna del 2008, per poi piegarsi alle limitazioni e ai doveri della carica.
«Vorrei preparare la prossima generazione di leader del
mondo», dice alla platea milanese, che lo accoglie come neppure Bono o George Clooney. Obama vuole chiaramente misurarsi con i grandi problemi: la disoccupazione giovanile, l’accesso al nuovo mondo globalizzato, le crescenti diseguaglianze sociali, le conseguenze negative di una straordinaria avanzata tecnologica che non si può rifiutare.
E solo a una considerazione superficiale può stupire il fatto che abbia scelto il cibo come tema del suo ritorno sul palcoscenico internazionale. In realtà, spiega l’ex presidente, la sicurezza alimentare e la buona nutrizione sono la chiave del futuro per ogni nazione: se un Paese mangia in modo sano, spende di meno per la sanità; se riduce l’obesità avrà forze armate più forti. Ma soprattutto, «la sicurezza alimentare è la chiave per poter sfamare il pianeta».
I cambiamenti climatici sono l’altro pilastro della nuova missione obamiana. Dove i grandi inquinatori come Usa ed Europa devono dare la linea sulla riduzione delle emissioni nocive. E dove «Stati Uniti e Cina, il più grande dei Paesi emergenti, devono assumersi le responsabilità più grandi».
Barack Obama parla ancora da leader globale. Ma questa volta la sua è leadership morale, rafforzata da uno star power rimasto intatto nonostante le cicatrici degli anni del potere. E proprio per questo potrebbe essere ancora più efficace. Otto anni dopo Yes, we can, lo slogan che fece sognare una generazione, egli si candida idealmente a presidente del mondo. Forse l’uomo nato alle Hawaii e cresciuto in Indonesia, il padre dal Kenya e la madre dal Kansas, ha trovato la sua vera vocazione.