L’Argentina che accolse i migranti italiani e il monito di Mattarella all’Ue
Non poteva trovare modello più virtuoso dell’Argentina, Sergio Mattarella, per riproporre il tema dei migranti «come fonte di opportunità, progresso, crescita sociale». Usa un memorandum, per spiegarsi: su 40 milioni di abitanti, qui, 26 milioni sono d’origine italiana. «Una nazione fuori dalla nazione». Un esodo biblico, «un fiume in piena», dato che solo nel 1906 sbarcarono nel vecchio porto alla foce del Rio de la Plata 803 mila nostri connazionali. Uomini e donne che con i propri valori, cultura e lavoro hanno segnato l’identità plurale di questa terra. Gente presto integrata nella comunità che ha spalancato loro le porte «con fiducia» tra l’Ottocento e la prima metà del Novecento, anche se «il ponte tra i due Paesi fratelli» non si è mai spezzato. Un esempio, dunque. Nonostante le prevedibili polemiche, il presidente della Repubblica non arretra di un palmo rispetto alle sue tesi di sempre. Avverte che su fenomeni epocali come quello delle migrazioni oggi in corso dall’Africa non servono scatti faziosi ispirati magari da cinismo politico, ma risposte «soddisfacenti e lungimiranti». Dell’intera Europa, cioè, quasi indifferente all’emergenza sbarchi. Per lui, infatti, «nessun Paese, per quanto ricco o potente, è in grado da solo di risolvere anche soltanto una delle grandi sfide con le quali l’umanità oggi si confronta». E la sua sensibilità si fa più acuta e la sua voce più ferma quando — parlando tra il Teatro Coliseum di Buenos Aires e la sede del Congresso — ricorda le ultime «immani tragedie, in cui i temi della solidarietà e della dignità della persona si scontrano, prima che con preoccupazioni legate alla sicurezza, con intolleranza, discriminazioni e diffusa incapacità di comprendere ciò che sta accadendo nel mondo». Cita Carlo Rosselli, che nel dopoguerra definiva «totalmente infondata» la tesi secondo la quale gli immigranti sfasciano l’economia di un Paese. E che denuncia anche alla luce dell’articolo 35 della Costituzione, là dove «si riconosce espressamente il valore dell’emigrazione». Insomma, il laboratorio dell’Argentina, con gli italiani in veste di «pionieri dell’emigrazione», dovrebbe ispirare scelte ben diverse. Magari, puntualizza, «mettendo a fattor comune le informazioni, le competenze, i successi e rifuggendo dalle tentazioni del protezionismo, delle involuzioni nazionalistiche, da artificiose chiusure in noi stessi, che appaiono antistoriche oltre che contro la logica e contro l’interesse della comunità mondiale». Un cenno in cui risuona un richiamo anche ai populismi di oggi, che comunque non sembrano preoccuparlo troppo. «Non faccio riferimenti ai movimenti italiani. Ma come europeo posso dire che, dopo lo choc di Brexit, in Europa il fenomeno è andato incontro a diverse delusioni ed è in regressione».