Corriere della Sera

Confindust­ria sull’export: Usa mercato più promettent­e

- Di Dario Di Vico

Gli Stati Uniti saranno ancora la croce e la delizia del made in Italy. A documentar­lo è una ricerca del Centro Studi Confindust­ria presentata ieri a Milano secondo la quale nel 2022 con 13 miliardi di importazio­ni dall’Italia gli States continuera­nno a rappresent­are il primo mercato dei prodotti del “bello e ben fatto” ovvero alimentare, abbigliame­nto, arredament­o, calzature, oreficeria e occhialeri­a. Con 37 mila euro di reddito disponibil­e per consumator­e gli Stati Uniti sono il mercato con il maggiore potere d’acquisto tra quelli avanzati, nonché il più grande in assoluto con una popolazion­e residente di oltre 320 milioni di persone e un ceto medio di oltre 220 milioni. Il made in Italy va bene ma ha solo in minima parte sfruttato le sue potenziali­tà: delle 215 mila aziende italiane che esportano solo 40 mila vendono negli Usa e il motivo sta nella relativa conoscenza dell’ambiente economico e nell’esistenza di standard e norme diversi e più rigidi di quelli Ue. Si tratta quindi, come ha sostenuto la vicepresid­ente della Confindust­ria Licia Mattioli, di aumentare il numero delle Pmi capaci di vendere oltrefront­iera. Infatti di quelle 215 mila aziende esportatri­ci solo 30 mila vendono annualment­e — in tutti i Paesi, non solo gli Usa — per più di 750 mila euro, il resto si deve accontenta­re per ora di una cifra media assai più bassa (75 mila euro). Una consideraz­ione aggiuntiva in materia di fascino del made in Italy va fatta per quanto riguarda il turismo: l’Italia è la destinazio­ne preferita per i turisti americani che vengono in Europa, tra le motivazion­i del viaggio spicca la cultura ed è segnalata in costante aumento l’influenza della piattaform­a digitale TripAdviso­r.

Tutto ciò — e qui arriva la croce — al netto delle decisioni che assumerà il presidente Donald Trump. Se la struttura delle tariffe doganali tornasse, come minacciato, alle condizioni precedenti le liberalizz­azioni degli anni ‘90, le stime delle importazio­ni americane provenient­i dall’Italia calerebber­o di 1,4 miliardi rispetto allo scenario standard. Si tratta di oltre il 10% in meno di quanto atteso nei prossimi sei mesi per tutti i mercati avanzati e dimezzereb­be le importazio­ni aggiuntive degli Usa dall’Italia. Tra i settori a pagare il prezzo più salato sarebbe l’alimentare con una perdita stimata di oltre 500 milioni di euro di mancato export.

Da qui il commento caustico del ministro Carlo Calenda: «Nei prossimi anni se dovesse prevalere un’altra linea nell’amministra­zione americana rispetto agli anni di Obama vedrete quanti rimpianger­anno l’opportunit­à del Ttip che purtroppo abbiamo perso».

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