Virus capitale
Criminali delle periferie, affaristi, palazzinari «Il contagio», un ritratto impietoso di Roma
Il set Anna Foglietta e Salemme nel film ispirato al libro di Walter Siti
Una casa popolare. Cemento e pezzi di campagna, lembi di metropoli. Una storia di borgata, Pasolini è un riferimento lontano. Matteo Botrugno e Daniele Coluccini sono due giovani registi romani, amici d’infanzia che hanno appena finito di girare un film da un libro di Walter Siti, lo scrittore del momento per il controverso libro sul prete pedofilo. Ma qui irrompe Mafia Capitale, anche se c’è molto altro nel film Il contagio. Si parla di criminali, affaristi, gente comune: vite che si agitano in una palazzina della periferia romana, il leviatano arenato ai margini della città dove la noia traspare sotto la frenesia e «l’alba è un armistizio», trovi il teatro decentrato, lo spazio per anziani che giocano a carte. E tutti, immigrati, giovani coppie precarie, pensionati statali in caduta libera, «sono onesti a responsabilità limitata». Poi ecco il centro storico, elegante e crudele, «due facce della stessa medaglia, si sostengono a vicenda e non possono fare a meno l’una dell’altra».
Il contagio è ovunque, è sociale, linguistico; tutto si è imbastardito, rovesciando la profezia di Pasolini: «Perché oggi è la borghesia che si sta imborgatando, non sono le borgate a essersi imborghesite. Questo film è una foto di Roma oggi, senza fronzoli e sovrastrutture». L’omonimo romanzo di Siti resta una ispirazione forte, si sono confrontati con lo scrittore e hanno immesso retroscena che non si trovano sulla pagina scritta. Ma i personaggi sono quelli, una storia corale dove Vincenzo Salemme fa per la prima volta un personaggio drammatico («l’ha presa come una sfida»), un professore gay e il suo giovane amante è Vinicio Marchioni (ha pure una moglie, Anna Foglietta). Al centro della storia c’è Maurizio Tesei nei panni di Mauro, uno dei «contagiati»: da piccolo spacciatore in periferia, a palazzinaro della Roma bene, amante di una ricca organizzatrice di eventi (Carmen Giardina) buona per la scalata sociale, motore della Cooperativa che lucra sui fondi per i rifugiati in un centro di accoglienza, ed ecco dove si annida Mafia Capitale.
La rassegnazione convive col riscatto sociale, una scrittura «cinica» dove l’amore è sullo stesso piano della mancanza d’amore.
Non per caso questa storia girata tra Quarticciolo e centro storico è prodotta (insieme con Rai Cinema) da Kimerafilm, che aveva creduto nell’analogo background di Non essere cattivo. In centro puoi trovare le borgate ma il contrario no, «anche se i confini sono sottili e la tv ha standardizzato e livellato le classi sociali».
Matteo Botrugno e Daniele Coluccini vengono dalla piccola borghesia dell’Alberone, a Sud di Roma, tra San Giovanni e Cinecittà, baretti e osterie, il
Abbiamo rappresentato la città com’è oggi senza fronzoli o sovrastrutture Non solo degrado: la nostra pellicola resta un atto d’amore I registi
sapore di una vita di quartiere. Hanno 35 anni, tutte le scuole insieme, condividono gusti cinefili (Tarkovsky e Kieslowski) il grande schermo l’hanno studiato all’università. Il loro primo film, Et in terra pax, andò a Venezia alle Giornate degli autori e prese vari riconoscimenti. Sono passati sette anni da quell’esordio. Nel mezzo clip musicali per band indipendenti, poi ci si arrangia, fanno quello «che ci consente di vivere»: Matteo cura il coordinamento del notiziario autostradale a Sky Tg, Daniele fa le riprese per università telematiche e insegna pianoforte classico.
Troppa periferia nel nuovo cinema? I due amici registi dicono che quella loro è diversa, spesso ci si limita a raccontare la facciata, sparatorie e stop, «qui non c’è solo la Roma violenta di Suburra e di Romanzo criminale. Se ci vivi la senti ostile, poi però non puoi farne a meno. Il nostro film è un atto d’amore per Roma».
Il baricentro della loro storia, Mauro, quell’arrampicata sociale non riuscirà a farla, il passato gli starà attaccato come una zecca.