Corriere della Sera

L’INTERVISTA IVAN ZAYTSEV

- Gaia Piccardi

La scalata Il gruppo del Giro d’Italia sale lungo le pendici dell’Etna: i 1187 metri di dislivello non hanno prodotto sconquassi in classifica generale. L’arrivo a Milano è ancora troppo lontano e al momento i «big» pensano più al controllo della corsa che ad andare all’attacco (Afp) bene, ho avuto risposte incoraggia­nti: va bene così»), che ha messo la Bahrein Merida a tirare mentre il Condor rimaneva copertissi­mo («Più che Quintana, molto sulla difensiva, ho visto Dumoulin e Pinot…» ha sottolinea­to pungente il siciliano) perché con un Tour da correre per tentare il double non aveva senso spolmonars­i per mettersi in tasca pochi secondi.

Del molto rumore per nulla del vulcano fanno le spese l’olandese Kruijswijk (caduto per colpa di una curva a destra pessimamen­te segnalata), gli spagnoli Landa (che fora e poi fatica a rientrare) e Moreno (cacciato per il contatto con Rosa: Nibali così perde un prezioso gregario) e il generoso Tiralongo, siculo orgoglioso, che come aveva promesso ha lasciato il cuore sulla sua montagna, senza però mai trovare la gamba giusta.

Sull’Etna non si è capito chi vincerà il Giro, ma forse abbiamo i nomi di chi lo ha già perso.

Non sento il peso di essere un modello ma sono portatore di valori di vita che ritengo giusti. Non influenzo in modo negativo chi si rispecchia in me

«Non la avverto perché credo di dare comunque il giusto esempio anche se a volte, in partita, esagero e mi si chiude la vena. Penso però di essere portatore di giusti valori di vita: non influenzo in negativo chi si rispecchia in me».

Ci parla della sua parte russo-sovietica?

«Più sovietica che russa. Grazie a Gorbaciov, papà fu il primo sportivo a uscire dall’Urss: sono nato a Spoleto e così mi sono legato all’Italia, anche se prima di tornarci ho fatto il giro del mondo. Questa componente l’ho sentita fino ai 15-16 anni, poi me la sono scrollata di dosso».

Sicuro che ancora non emerga?

«Forse di tanto in tanto, nella testardagg­ine. Ma è sotto controllo, ben sepolta».

Ho cancellato la parte russosovie­tica della mia storia: l’ho avvertita fino a 16 anni Però a volte ritorna, soprattutt­o per il mio essere testardo

Papà le parlava dell’Urss?

«Qua e là. Mi ricordo solo che dava al partito comunista il 70% dei suoi guadagni».

Come vede e giudica Vladimir Putin?

«Sta facendo molto bene per i russi. È un uomo di estrema intelligen­za, capace di tenere in piedi un Paese complicato. All’estero è più stimato di quello che si immagina».

Che cosa non le è piaciuto dell’esperienza alla Dinamo Mosca, dal 2014 al 2016?

«Mi mancava il calore delle persone, tipico dell’Italia. Un profession­ista dà sempre il massimo, però attorno a me c’era una sensazione non di sport ma di obbligo e di lavoro. Non ci si divertiva e questo non l’ho sopportato».

Il volley, quanto a personaggi, ha già avuto la «generazion­e dei fenomeni» negli anni 90.

«Ma era diverso il modo di essere personaggi­o: quei giocatori puntavano sulla tv e prendevano una fascia di pubblico più vasta; oggi noi abbiamo i social network e intercetti­amo un pubblico più giovane e dal target più basso».

Siete un po’ invidiosi di loro?

«Come popolarità a livello di Nazionale, forse siamo allo stesso livello. E anche come obiettivi: manca l’oro olimpico e noi potremo magari tornare a inseguirlo. Ma tre Mondiali di fila... be’, come non essere invidiosi di quelle imprese?».

Avete i like e i selfie, loro avevano più soldi.

«Sì, è vero. Erano altri guadagni, c’era ancora la lira e nel volley c’erano i mecenati».

A proposito, quanto guadagna Zaytsev?

«Quanto mi basta per una vita più che degna. I quattrini li tengo io, ma li amministra mia moglie: me li fa girare sotto il naso».

La svolta mediatica è coincisa con Rio, oppure lei era un predestina­to?

«Mi/ci ha aiutato l’attenzione attorno ai Giochi: prima non eravamo così conosciuti. Abbiamo dato la possibilit­à di accorgersi del volley».

Da simpatizza­nte romanista, che cosa dice sulla questione Totti?

«Francesco sconta un’immagine da icona. Se fossi Spalletti avrei bisogno di uno psicologo ad ogni partita: lo schiero, non lo schiero?».

Il caso-Muntari ha riproposto il rischio del razzismo nello sport: il giocatore del Pescara ha detto che certe cose capitano solo in Italia.

«Le persone “poco colte” circolano ovunque. Però lo capisco: dà molto fastidio».

Le capigliatu­re strambe sono figlie di stati d’animo precisi?

Icona Ivan Zaytsev, asso di Perugia e della Nazionale, è il volto di punta del volley maschile italiano

«Erano un gioco scherzoso, invece ora sì, dipendono anche dall’umore. Però non sono come Earvin N’Gapeth che le cambia in giornata».

Lupus in fabula: ha fatto pace con il francese dopo i battibecch­i ai Giochi?

«Continuo a rispettarl­o. Non ne abbiamo più discusso, ci siamo rivisti solo in campo. Un giorno, davanti a una birra, ne riparlerem­o».

Se oggi abbiamo questo Ivan Zaytsev è perché lei aveva litigato con papà sul ruolo.

Ho litigato non con papà ma con la mia mente: non sopportavo la pressione che derivava dal doverlo imitare a tutti i costi Sono rinato cambiando ruolo

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