Corriere della Sera

Gli Usa accusano: in Siria l’orrore dei forni crematori

L’iniziativa per rendere sempre più insostenib­ile il sostegno russo ad Assad

- di Davide Frattini

Il carcere militare di Sednaya, non lontano da Damasco. È qui — secondo il dipartimen­to di Stato americano — che ogni giorno circa cinquanta prigionier­i verrebbero impiccati. Poi per cancellare le prove dello sterminio i corpi sarebbero bruciati nei forni crematori. Un’accusa accompagna­ta da foto satellitar­i che proverebbe­ro l’orrore. La Casa Bianca: «La Siria non sarà sicura e stabile finché Assad sarà al potere».

Sednaya Damasco Palmira IRAQ La prigione principale adottata dall’ambasciatr­ice all’Onu, Nikki Haley. Il 5 aprile, il giorno dopo l’attacco chimico dei jet siriani contro il villaggio di Khan Sheikhoun, Haley mostrò al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e al mondo intero, le fotografie dei bambini ustionati dai gas.

Un mese e mezzo fa Tillerson si rivolse in questi termini ai russi: «O siete complici o siete incompeten­ti». Adesso, a prima vista, l’approccio americano appare ancora più duro. Il sottosegre­tario agli esteri per il Medio Oriente, Stuart Jones, si esprime così: «Siamo spaventati dalle atrocità commesse dal regime siriano e queste atrocità sembrano essere state compiute con l’incondizio­nato appoggio della Russia e dell’Iran». Ma nel frattempo Tillerson è stato a Mosca e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov a Washington. Lo stesso Trump Gli americani forse valutano insufficie­nte la tregua concordata il 3 e 4 maggio ad Astana

Il forno crematorio ha discusso al telefono con il presidente Vladimir Putin. C’è, dunque, un canale di comunicazi­one aperto, come sottolinea lo stesso Jones: «Il ministro Lavrov e il governo russo ci hanno fatto sapere di essere interessat­i a trovare una soluzione sulla Siria. Adesso speriamo di poter lavorare con i russi in un modo costruttiv­o per mettere pressione sul regime e finire l’epoca delle atrocità».

La parola chiave qui è «costruttiv­o». Evidenteme­nte gli americani consideran­o insufficie­nte la tregua concordata il 3 e 4 maggio scorso ad Astana (Kazakistan) tra le potenze garanti della crisi siriana: Russia, Turchia e Iran. C’è il sospetto che Putin e gli ayatollah di Teheran vogliano sempliceme­nte cristalliz­zare la divisione del Paese in aree di influenza, senza mettere in moto «il processo di rinnovamen­to politico», come lo chiamano all’Onu, cioè la rimozione dal potere di Assad. Oggi Trump ne parlerà con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, nello Studio Ovale della Casa Bianca.

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Una delle immagini aeree diffuse dal dipartimen­to di Stato Usa della prigione di Sednaya in Siria, che mostra la costruzion­e adibita a forno crematorio
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