Gli Usa accusano: in Siria l’orrore dei forni crematori
L’iniziativa per rendere sempre più insostenibile il sostegno russo ad Assad
Il carcere militare di Sednaya, non lontano da Damasco. È qui — secondo il dipartimento di Stato americano — che ogni giorno circa cinquanta prigionieri verrebbero impiccati. Poi per cancellare le prove dello sterminio i corpi sarebbero bruciati nei forni crematori. Un’accusa accompagnata da foto satellitari che proverebbero l’orrore. La Casa Bianca: «La Siria non sarà sicura e stabile finché Assad sarà al potere».
Sednaya Damasco Palmira IRAQ La prigione principale adottata dall’ambasciatrice all’Onu, Nikki Haley. Il 5 aprile, il giorno dopo l’attacco chimico dei jet siriani contro il villaggio di Khan Sheikhoun, Haley mostrò al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e al mondo intero, le fotografie dei bambini ustionati dai gas.
Un mese e mezzo fa Tillerson si rivolse in questi termini ai russi: «O siete complici o siete incompetenti». Adesso, a prima vista, l’approccio americano appare ancora più duro. Il sottosegretario agli esteri per il Medio Oriente, Stuart Jones, si esprime così: «Siamo spaventati dalle atrocità commesse dal regime siriano e queste atrocità sembrano essere state compiute con l’incondizionato appoggio della Russia e dell’Iran». Ma nel frattempo Tillerson è stato a Mosca e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov a Washington. Lo stesso Trump Gli americani forse valutano insufficiente la tregua concordata il 3 e 4 maggio ad Astana
Il forno crematorio ha discusso al telefono con il presidente Vladimir Putin. C’è, dunque, un canale di comunicazione aperto, come sottolinea lo stesso Jones: «Il ministro Lavrov e il governo russo ci hanno fatto sapere di essere interessati a trovare una soluzione sulla Siria. Adesso speriamo di poter lavorare con i russi in un modo costruttivo per mettere pressione sul regime e finire l’epoca delle atrocità».
La parola chiave qui è «costruttivo». Evidentemente gli americani considerano insufficiente la tregua concordata il 3 e 4 maggio scorso ad Astana (Kazakistan) tra le potenze garanti della crisi siriana: Russia, Turchia e Iran. C’è il sospetto che Putin e gli ayatollah di Teheran vogliano semplicemente cristallizzare la divisione del Paese in aree di influenza, senza mettere in moto «il processo di rinnovamento politico», come lo chiamano all’Onu, cioè la rimozione dal potere di Assad. Oggi Trump ne parlerà con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, nello Studio Ovale della Casa Bianca.