Sikh transit gloria mundi
La Cassazione ha sentenziato che un Sikh non può girare per le strade di Goito con un pugnale ricurvo nei pantaloni. Per la sua religione si tratta di un simbolo di pace, ma uno straniero «ha l’obbligo di conformarsi ai valori del Paese che lo accoglie, anche se sono difformi da quelli del Paese da cui proviene». Così si è espressa la Suprema Corte. Io invece mi ostino a pensare che l’ospite di una democrazia non abbia l’obbligo di conformarsi ai suoi valori, ma di rispettarne le leggi. Se indossando il pugnale d’ordinanza quel Sikh ha violato la legge italiana, è giusto che venga punito. Così come andrebbero puniti, e con ben maggiore ostinazione, quei disgraziati che mandano i bambini a chiedere l’elemosina o che segregano le donne in casa pur di non esporle alla contaminazione oftalmica degli infedeli. Ma non per una questione di «valori», concetto tanto impegnativo quanto indefinito, ma perché nel nostro ordinamento quei comportamenti configurano dei reati: sfruttamento di minore e sequestro di persona.
I valori e le leggi non sono la stessa cosa. Le seconde si ispirano ai primi, ma in una democrazia non vi si sovrappongono completamente. Esiste uno spazio in cui usi e costumi debbono potersi esprimere in libertà, a condizione che non interferiscano con quella degli altri. Ciò che trasforma l’accoglienza in resa incondizionata non è la mancata osservazione dei nostri costumi, ma il mancato rispetto delle nostre leggi. Un «valore», l’impunità, che spesso accomuna stranieri e italiani.