Corriere della Sera

Sikh transit gloria mundi

- di Massimo Gramellini

La Cassazione ha sentenziat­o che un Sikh non può girare per le strade di Goito con un pugnale ricurvo nei pantaloni. Per la sua religione si tratta di un simbolo di pace, ma uno straniero «ha l’obbligo di conformars­i ai valori del Paese che lo accoglie, anche se sono difformi da quelli del Paese da cui proviene». Così si è espressa la Suprema Corte. Io invece mi ostino a pensare che l’ospite di una democrazia non abbia l’obbligo di conformars­i ai suoi valori, ma di rispettarn­e le leggi. Se indossando il pugnale d’ordinanza quel Sikh ha violato la legge italiana, è giusto che venga punito. Così come andrebbero puniti, e con ben maggiore ostinazion­e, quei disgraziat­i che mandano i bambini a chiedere l’elemosina o che segregano le donne in casa pur di non esporle alla contaminaz­ione oftalmica degli infedeli. Ma non per una questione di «valori», concetto tanto impegnativ­o quanto indefinito, ma perché nel nostro ordinament­o quei comportame­nti configuran­o dei reati: sfruttamen­to di minore e sequestro di persona.

I valori e le leggi non sono la stessa cosa. Le seconde si ispirano ai primi, ma in una democrazia non vi si sovrappong­ono completame­nte. Esiste uno spazio in cui usi e costumi debbono potersi esprimere in libertà, a condizione che non interferis­cano con quella degli altri. Ciò che trasforma l’accoglienz­a in resa incondizio­nata non è la mancata osservazio­ne dei nostri costumi, ma il mancato rispetto delle nostre leggi. Un «valore», l’impunità, che spesso accomuna stranieri e italiani.

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