I boss investivano in cibo e sanità, ma il nuovo affare sono i migranti
Spiegava Bernardo Provenzano ai suoi accoliti mafiosi che il modo più sicuro per investire denaro era metterlo nei supermercati e nelle cliniche, perché la gente avrà sempre bisogno di mangiare e di curarsi. Anche in tempi di crisi, alimentari e sanità garantiscono affari sostanziosi, e per spillare soldi pubblici bisogna concentrarsi su quei settori. È una lezione che vale ancora, come dimostra l’ultima inchiesta milanese sui tentacoli delle cosche catanesi al nord, ma oggi sembra essersi aggiunto un terzo settore in espansione, in grado di assicurare profitti certi: la gestione dei migranti sbarcati in Italia. Un’emergenza ormai cronica, sulla quale è difficile per lo Stato risparmiare perché bisogna intervenire con urgenza, le strutture pubbliche non sono sufficienti ed è inevitabile rivolgersi ai privati: logico dunque che gli appetiti della criminalità organizzata si rivolgano anche lì. L’ultima conferma arriva dall’indagine della Procura antimafia di Catanzaro, secondo la quale il clan egemone di Isola Capo Rizzuto aveva messo le mani sul Centro profughi Sant’Anna, attraverso imprese direttamente collegate alla famiglia dominante. Ma prima ancora allarmi analoghi sono giunti dai procuratori di Catania e Trapani, Carmelo Zuccaro e Ambrogio Cartosio, che nelle loro audizioni in Parlamento, oltre che dei sospetti sui presunti legami tra Ong e scafisti, hanno parlato di «risultanze investigative» sulla «massa di denaro destinata all’accoglienza che attira gli interessi delle organizzazioni mafiose», e di «soggetti contigui alle cosche ben inseriti nella gestione del circuito». Una buona parte dell’inchiesta romana su «Mafia capitale» s’è concentrata sui ricavi delle cooperative gestite da Salvatore Buzzi (insieme a Massimo Carminati) ottenuti grazie a pasti, alloggi e altri servizi offerti per i rifugiati distribuiti sul territorio. Dove ci sono centri di accoglienza più o meno temporanea, insomma, o anche solo di smistamento, spuntano soldi pubblici sui quali è possibile lucrare; le consorterie criminali l’hanno imparato e si sono attrezzate. Ma purtroppo anche la politica ha offerto il suo cattivo esempio, con le rigorose spartizioni tra imprese appartenenti ad aree partitiche diverse che si dividevano la torta per evitare dannosi contrasti e poter guadagnare tutti. Mafia e non solo, come negli intrecci più torbidi.