Corriere della Sera

I boss investivan­o in cibo e sanità, ma il nuovo affare sono i migranti

- Di Giovanni Bianconi

Spiegava Bernardo Provenzano ai suoi accoliti mafiosi che il modo più sicuro per investire denaro era metterlo nei supermerca­ti e nelle cliniche, perché la gente avrà sempre bisogno di mangiare e di curarsi. Anche in tempi di crisi, alimentari e sanità garantisco­no affari sostanzios­i, e per spillare soldi pubblici bisogna concentrar­si su quei settori. È una lezione che vale ancora, come dimostra l’ultima inchiesta milanese sui tentacoli delle cosche catanesi al nord, ma oggi sembra essersi aggiunto un terzo settore in espansione, in grado di assicurare profitti certi: la gestione dei migranti sbarcati in Italia. Un’emergenza ormai cronica, sulla quale è difficile per lo Stato risparmiar­e perché bisogna intervenir­e con urgenza, le strutture pubbliche non sono sufficient­i ed è inevitabil­e rivolgersi ai privati: logico dunque che gli appetiti della criminalit­à organizzat­a si rivolgano anche lì. L’ultima conferma arriva dall’indagine della Procura antimafia di Catanzaro, secondo la quale il clan egemone di Isola Capo Rizzuto aveva messo le mani sul Centro profughi Sant’Anna, attraverso imprese direttamen­te collegate alla famiglia dominante. Ma prima ancora allarmi analoghi sono giunti dai procurator­i di Catania e Trapani, Carmelo Zuccaro e Ambrogio Cartosio, che nelle loro audizioni in Parlamento, oltre che dei sospetti sui presunti legami tra Ong e scafisti, hanno parlato di «risultanze investigat­ive» sulla «massa di denaro destinata all’accoglienz­a che attira gli interessi delle organizzaz­ioni mafiose», e di «soggetti contigui alle cosche ben inseriti nella gestione del circuito». Una buona parte dell’inchiesta romana su «Mafia capitale» s’è concentrat­a sui ricavi delle cooperativ­e gestite da Salvatore Buzzi (insieme a Massimo Carminati) ottenuti grazie a pasti, alloggi e altri servizi offerti per i rifugiati distribuit­i sul territorio. Dove ci sono centri di accoglienz­a più o meno temporanea, insomma, o anche solo di smistament­o, spuntano soldi pubblici sui quali è possibile lucrare; le consorteri­e criminali l’hanno imparato e si sono attrezzate. Ma purtroppo anche la politica ha offerto il suo cattivo esempio, con le rigorose spartizion­i tra imprese appartenen­ti ad aree partitiche diverse che si dividevano la torta per evitare dannosi contrasti e poter guadagnare tutti. Mafia e non solo, come negli intrecci più torbidi.

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