Il governatore non cede «La squadra funziona» E pensa al voto a ottobre insieme al referendum
MILANO La linea ufficiale di Roberto Maroni resta quella: a votare per la Lombardia si andrà «tra dodici mesi». E cioé, a scadenza naturale della legislatura regionale. In realtà, però, la diffida di Matteo Salvini nei suoi confronti («Mai con gli alfaniani») rende più probabile un election day che riunisca il referendum sulle autonomie del 22 ottobre con elezioni anticipate in Lombardia. Ipotesi che a Maroni non dispiacerebbe affatto.
Dalla consultazione sulle autonomie, Maroni si attende notevole dividendo politico. Però, è anche vero che la linea «nazionale» assunta dal partito — che comunque non passerà per cambi di nome o di Statuto (la Lega resterà «per l’indipendenza») — qualche contraddizione la apre. La annota il segretario regionale del Pd, Alessandro Alfieri: «Il referendum, con la conferma della linea sovranista e nazionale, perde di senso. Anzi, contrasta nettamente con gli interessi della nuova Lega che cercherà di prendere voti al sud». In effetti, lo scopo dichiarato da Maroni per il referendum non è tanto quello di maggiori competenze: è il «trattenere più soldi in Lombardia per Lo scenario Maroni esclude la scissione (che a lui non converrebbe): Bossi resterà nella Lega mandarne meno al Sud». Un buon argomento, nel Mezzogiorno, per chi intenda sostenere che la Lega, Salvini o non Salvini, resta sempre la stessa. Anche il segretario della Lega lombarda Paolo Grimoldi avverte il problema. E infatti, si affretta a mettere nero su bianco che «la Lega è compatta
nel sostenere la giunta regionale guidata dal governatore Maroni e nel portare avanti la battaglia per il referendum sull’autonomia della Lombardia». Che serve, appunto, a «trattenere qui decine di miliardi delle nostre tasse».
Soprattutto, «centrodestra» è ormai soltanto una parola. Che non riesce a nascondere le profonde divisioni tra Lega e Forza Italia. Paradossalmente Maroni ha ragione quando ripete, come ieri, che «la mia maggioranza e la mia squadra hanno sempre funzionato». Resta il fatto che se il voto lombardo coincidesse — come da scadenza naturale — con quello nazionale, Roberto Maroni rischierebbe di ritrovarsi soltanto con i cocci dell’alleanza che lo sostiene dal 2013. Per contro, se per la Lombardia si andasse a votare con il referendum, in autunno, il centrodestra lombardo e il suo presidente potrebbero sperare di sfuggire alla forza insostenibile di una campagna elettorale nazionale giocata su fronti diversi.
Maroni, certo, non vuole rinunciare a nulla del suo possibile bacino. E di scissioni nella Lega neanche vuol sentir parlare: «Umberto Bossi non se ne andrà, ne sono sicuro. Perché la Lega l’ha fondata lui». Ma in fondo, nemmeno a Salvini piacerebbe il vedersi addebitare una sconfitta storica nella sua Regione, guidata dal centrodestra fin dal 1995.
Questa mattina Maroni riunirà i capigruppo della sua maggioranza, «alfaniani» inclusi. Ma da oggi in avanti, gli «incidenti» che potrebbero interrompere in anticipo la legislatura lombarda non può escluderli più nessuno.