RIFORME IN STALLO E SI ACCENTUA IL PERICOLO DI FORZATURE
Era stato facile profeta chi riteneva improbabile un’intesa sulla riforma elettorale già alla Camera. Il «no» anticipato dal Pd al testo in votazione oggi alla Commissione Affari costituzionali riconsegna intatta la spaccatura tra fautori del maggioritario e del proporzionale. E conferma la volontà del partito di insistere su un sistema per il quale, a oggi, manca un accordo. La prospettiva che sul nulla di fatto si inneschino manovre elettorali non va esclusa. La preoccupazione di chi vuole la stabilità, ora, è scongiurare incidenti al Senato, dove i numeri sono in bilico.
Colpisce, in particolare, l’asse creatosi nelle ultime settimane tra il vertice dem e la Lega di Matteo Salvini. I complimenti del segretario del Pd, Matteo Renzi, dopo la vittoria di Salvini alle primarie del Carroccio, avvicinano le loro traiettorie: compresi lo scontro con la vecchia guardia di Umberto Bossi; e le minacce di scissione, simili a quelle che hanno portato alla rottura tra i dem. Ma forse la sintonia più forte, sebbene meno evidente, riguarda la tentazione a interrompere la legislatura quanto prima, sostenendo che la riforma è impossibile. Salvini vuole impedire che Silvio Berlusconi riesca a ritrovare un ruolo; e a giocarlo in Parlamento con un ritorno al proporzionale.
Renzi, invece, vuole evitare al Pd una legge finanziaria dai contorni impopolari. Non solo per le misure che l’esecutivo di Paolo Gentiloni sarà costretto a prendere. Il problema è che finirebbe per sottolineare anche i limiti della politica economica degli anni renziani a Palazzo Chigi. La durezza del Pd riflette un pezzo di questa strategia. E zittisce i malumori spuntati in una parte dei parlamentari perché il «no» è stata deciso senza discuterlo.
Gli avversari vedono in questo atteggiamento la conferma che il Pd non è disposto a concedere nulla, e preferisce andare alle urne con quanto resta dell’Italicum demolito dalla Corte costituzionale: manovra arrischiata, soprattutto per i numeri altalenanti al Senato. Sarà necessaria una legge per scongiurare sistemi elettorali così diversi da riconsegnare i due rami del Parlamento con maggioranze non omogenee. Lo stesso Quirinale lascia filtrare i dubbi a risolvere il rompicapo con un decreto.
Il fatto che sia il M5S, sia Forza Italia abbiano dato la disponibilità a votare con il Pd, tende ad accreditare le contraddizioni del partito di Renzi. In realtà, il proporzionale si conferma un ostacolo insormontabile, agli occhi dei dem; e dello stesso Salvini, che critica un Berlusconi a suo dire «incoerente». Insomma, si tratta di un finto dialogo. Il M5S parla di «diktat del Pd. I dem buttano la palla in tribuna e scappano con il pallone». Ma tutti assestano colpi proibiti: nell’illusione che il capo dello Stato si rassegni al peggio e fischi la fine.