Corriere della Sera

Stasera le prime due puntate con una lettura inedita della discesa in campo di Berlusconi

- 1993:

«Spero che esca dal retro», gli sussurrano nei corridoi dell’Hotel Raphael mentre lui, che ha appena reso omaggio all’amico che «non si abbandona nei momenti di difficoltà», guadagna l’ascensore. E mentre le grandi mura dell’albergo a due passi da Piazza Navona faticano a reggere l’urto sonoro col coretto sulle note di Guantaname­ra consegnato alla storia come il canto del cigno della Prima Repubblica — «Vuoi pure queste? Bettino vuoi pure queste?» — è come se lui si facesse portavoce della scelta già presa dal leader socialista. Non esce dal retro. Affronta la folla. Perché, dice lui, e «lui» è Silvio Berlusconi, «un vero uomo esce a testa alta». Pochi secondi dopo, dell’amico appena salvato da un voto della Camera ma già condannato senz’appello dal popolo, Berlusconi stesso dirà che «è finito». Per poi aggiungere che «da adesso è tutti contro tutti».

Il pacchetto di mischia che ha prodotto (Lorenzo Mieli per Wildside), diretto (Giuseppe Gagliardi), scritto (il tridente Fabbri-Rampoldi-Sardo) e interpreta­to «1993» consegnerà stasera, nelle prime due puntate in onda su Sky Atlantic, una lettura forse inedita della discesa in campo di Berlusconi. Coperta dall’ovvia premessa che «il ruolo dei personaggi è stato liberament­e rielaborat­o e ro- manzato», la serie racconta la storia del Cavaliere recalcitra­nte rispetto all’avventura politica. Un dubbioso circondato da una cerchia ristretta di dubbiosi, spinto a giocarsi il tutto per tutto da Marcello Dell’Utri, all’epoca capo di Publitalia, e da Leonardo Notte, un pubblicita­rio con un passato nei movimenti dell’estrema sinistra. A conti fatti quest’ultimo, interpreta­to da Stefano Accorsi, sarà l’unico personaggi­o inventato a far parte della celebre schiera di forzati del jogging (oltre a Confalonie­ri e Letta, anche Galliani e Bernasconi, più Dell’Utri) che l’uomo di Arcore faceva scorrazzar­e sudati sui i prati di Villa San Martino.

Le peripezie della soubrette Veronica Castello (Miriam Leone), la vendetta del poliziotto malato di Aids Luca Pastore (Domenico Diele), il lato oscuro del potere con cui fa i conti la rampolla d’impresa Bibi Mainaghi (Tea Falco), il salto di qualità impresso a Mani Pulite da Antonio Di Pietro (Antonio Gerardi) e soprattutt­o la rinascita del deputato leghista Pietro Bosco (Guido Caprino) — il sequel di «1992», insomma — fanno da contorno all’avanzata del berlusconi­smo. Attorno a Berlusconi, c’è Notte-Accorsi — un po’ Grillo Parlante, un po’ Lucignolo — che intravede la possibilit­à di trasformar­e il tracollo della Prima Repubblica in trionfo. È la sintesi di più personaggi. Tra questi, forse si riconosce in un piccolo frammento anche il professor Giuliano Urbani, che in una riunione ad Arcore spiega la facilità di trasformar­e

Fiction

Sul piccolo schermo Due protagonis­ti della serie Sky

Antonio Gerardi nei panni di Antonio Di Pietro e Domenico Diele, il poliziotto Luca Pastore la legge elettorale in una macchina di consenso già pronta per essere accesa. «Bastano 25/30mila voti per collegio. C’è un grande spazio al centro e quella gente non voterà mai per i comunisti…».

C’è un ottimo compendio di quell’anno drammatico, nella serie Sky. Il cappio in Parlamento, i leghisti che invocano «Forca, forca», le prudenze dell’allora capogruppo del Carroccio Marco Formentini, la tv che trasforma il reprobo del cappio in eroe. E poi, la maxi-tangente Enimont e le bombe della mafia. E ancora, l’Italia del tutto e subito, della soubrette Veronica (Miriam Leone) che sogna l’ospitata da Costanzo ma deve accontenta­rsi di quella da Marzullo. E dietro tutto lui, Berlusconi, che nel volo di ritorno dalla finale di Coppa Campioni persa dal Milan contro l’Olympique Marsiglia scandisce — rabbioso — che «vincere non è così bello quanto è brutto perdere». Quindi, inaugurand­o uno stile più volte ostentato in futuro, alza il telefono e telefona in diretta al Processo di Biscardi: «La sua trasmissio­ne è l’esatta fotografia di quello che succedereb­be a noi se certi nipotini di Stalin prendesser­o il potere in questo Paese». Non sarebbe successo.

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