Pendenze e nomine trasparenti Le promesse mancate dei sindaci
In 106 prima del voto si erano impegnati sulle procedure di scelta dei manager
Promettere non costa nulla. Soprattutto se per gli impegni non rispettati nessuno ti chiede il conto. Ci cascano quasi tutti, regolarmente. Compresi quelli che, a prendere per buoni i loro propositi, proprio non dovrebbero.
Prendiamo il caso di Virginia Raggi. Esattamente un anno fa, prima delle elezioni che l’hanno incoronata sindaco di Roma, ha sottoscritto un impegno proposto dai promotori della campagna Sai chi voti. Si tratta di 12 associazioni civiche fra cui Riparte il futuro, Movimento consumatori, Pubblici cittadini e Transparency international Italia che avevano chiesto a 236 candidati sindaci alle amministrative del 2016 di rendere noti prima del voto eventuali grane giudiziarie oltre a possibili conflitti d’interessi. Ma anche di garantire procedure precise e trasparenti in occasione delle nomine dei manager pubblici di propria competenza. Prescrizioni condivise da 106 di quei 236, salvo poi che non le hanno rispettate proprio tutti.
Così il bilancio di quella campagna, oggetto a un anno di distanza di un dossier messo a punto da Riparte il futuro, presenta non pochi buchi neri. A cominciare proprio da Roma. Perché se Virginia Raggi ha tenuto fede all’impegno di trasparenza che la riguardava, lo stesso non si può dire per le nomine. Del tutto disattesa è infatti risultata la promessa di scegliere con il metodo delle audizioni pubbliche i manager delle municipalizzate: individuati al contrario intuitu personae, ovvero come hanno sempre fatto i tanto vituperati partiti tradizionali. È accaduto in tutte le occasioni che a Virginia Raggi si sono presentate in questi dieci mesi: per esempio la nomina al vertice dell’Atac di Manuel Fantasia, incidentalmente fratello del militante grillino Delio Fantasia, come pure quelle dell’amministratore unico dell’Ama Alessandro Solidoro e della sua sostituta Antonella Giglio. Per non parlare delle nomine del direttore della medesima Ama, Stefano Bina, del commissario di Farmacap Angelo Stefanori, dell’amministratore delegato dell’Acea Stefano Donnarumma e del presidente Luca Lanzalone. Comprese altre designazioni, per dire così , minori. Non tutte, va detto, farina del suo sacco, visto che le indicazioni in quel che caso sono arrivate direttamente dai vertici del Movimento 5 stelle. Ma questa non può essere una giustificazione.
In questo anno Riparte il futuro ha tenuto sotto osservazione i 30 Comuni più rilevanti dove si è votato, in metà dei quali sono stati eletti candidati sindaci che hanno aderito alla campagna Sai chi voti. Dei 15, uno soltanto (Virginio Merola, sindaco di Bologna) ha dichiarato di avere cause giudiziarie pendenti, mentre sei di loro hanno comunicato di avere interessi in attività economiche o di altro genere. Il
sindaco di Milano Giuseppe Sala, per citare un caso, ha dichiarato di detenere il 18,9% di una immobiliare rumena (Tunari, con sede a Bucarest) e di partecipare a un’azienda che gestisce parchi fotovoltaici in Puglia (Kenergy, 20%), oltre a detenere il 20% di una società di consulenza d’impresa e finanza (Finalter).
Cinque sono invece i sindaci, senza distinzione fra Nord, Sud, Est e Ovest, che hanno semplicemente dribblato l’impegno relativo alla trasparenza nelle nomine pubbliche: quelli di Roma, Caserta, Trieste, Gallarate e Vittoria. A questi andrebbero aggiunti anche i primi cittadini di Milano, Napoli e Rho che avevano fin dall’inizio ritenuto di non aderire alla richiesta di Sai chi voti riguardante la scelta dei manager.
A Savona, Brindisi e Latina le audizioni pubbliche sono state invece introdotte con regolamenti comunali. A Novara e Bologna qualche nomina è stata fatta con quel metodo: anche se, nel capoluogo emiliano, per ratificare scelte già decise con i meccanismi consueti. Mentre il sindaco di Varese ha promesso di provvedere entro quest’anno. Idem la prima cittadina di Torino, Chiara Appendino, la quale a gennaio scorso ha comunicato
l’intenzione di introdurre un regolamento per le audizioni pubbliche, ma secondo il dossier di Riparte il futuro non se n’è saputo ancora nulla. Nel frattempo, la macchina delle nomine non si è fermata, per esempio con la designazione di Lorenzo Bagnacani alla presidenza dell’Amiat e di Lorenzo Boaro alla guida di Trm.
Per nulla demoralizzate da risultati piuttosto deludenti, le associazioni di cui sopra hanno deciso di far ripartire la campagna Sai chi voti anche per le prossime elezioni di giugno. Chiedendo ai candidati due impegni supplementari: rivelare prima del voto (e non dopo) i finanziamenti ricevuti e da chi, e fornire l’agenda degli incontri con i portatori d’interessi economici. Magari sperando che stavolta vada un po’ meglio.
A Roma Nessun incarico dato da Raggi in 10 mesi rispetta il metodo delle audizioni pubbliche