Se «Indovina chi viene a cena?» diventa una commedia horror
Una società antirazzista (solo a parole) nel primo cult dell’era Trump
Che cosa unisce horror e umorismo? A sentire Jordan Peele, il regista di Scappa - Get Out è «la voglia di entrambi di mettere in evidenza l’assurdità del mondo». Forse non è sempre stato così, ma il comico americano, popolarissimo per la sua perfetta imitazione di Obama in coppia con l’«angelo traduttore» KeeganMichael Key, è perfettamente riuscito a farli convivere nel suo film d’esordio, che sta passando alle cronache come il primo cult dell’era Trump: presentato al Sundance proprio mentre il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti saliva al potere, costato solo 4 milioni e mezzo di dollari ma già arrivato a superare i 214 di incasso, paragonato dal New Yorker al documentario militante di Raoul Peck I’m Not Your Negro per la sua carica polemica, il film potrebbe presentarsi a prima vista come una specie di rilettura di Indovina chi viene a cena? di Stanley Kramer, dove una fidanzata bianca presentava ai propri genitori (altrettanto bianchi) il fidanzato nero.
E infatti anche il film di Peele inizia come una scontata commedia sui rapporti interrazziali: la tenera Rose (Allison Williams) arriva a casa del fidanzato Chris (Daniel Kaluuya) per accompagnarlo nella casa di campagna dei genitori, Dean e Missy Armitage (Bradley Whitford e Catherine Keener): lui si preoccupa perché non li ha avvertiti del colore della sua pelle, ma Rose lo tranquillizza magnificando la sensibilità antirazzista del padre, «pronto a votare per la terza volta Obama, se solo fosse stato possibile». Anche se, prima un incidente con un cervo che attraversando la strada sbatte contro l’auto su cui viaggiano e poi la presenza nella casa di campagna solo di domestici di colore (dall’aria vagamente trasognata, per giunta), iniziano a incrinare la tranquillità di Chris.
Certo, gli stacchi sull’amico Rod Williams (Lil Red Howery) cui hanno lasciato il cane per il weekend aiutano a spezzare quell’inizio di tensione, con le sue battute scorrettissime sui bianchi, ma appena la macchina da presa torna nella lussuosa villa di campagna degli Armitage la tensione torna a salire. Soprattutto dopo che si presentano a sorpresa un nutrito gruppo di amici. Naturalmente tutti ricchi e bianchi (visto che l’unico invitato di colore, che si accompagna a una signora molto più anziana di lui, ha la stessa aria un po’ inebetita della servitù).
Ben presto, però, il ricordo del film di Stanley Kramer con le sue discussioni sulle difficoltà di far accettare a una società bianca un fidanzato nero svaniscono di fronte agli strani comportamenti degli ospiti di villa Armitage, a cominciare da quelli della padrona di casa, psicoterapeuta con il pallino dell’ipnosi. E Chris, fotografo di una certa notorietà, inizia a provare delle strane, anche se non razionalmente motivate, paure. Per un’ora circa, Peele conduce il racconto sul filo dell’equilibrio tra tensione e rassicurazioni, tra paure e umorismo, identificandosi con un protagonista che non sa se dar ragione ai dubbi che gli nascono o se considerarli solo retaggio di antichi comportamenti razzisti, che non hanno più ragione di esistere
Apparente rilettura della pellicola di Kramer Poi la situazione è capovolta da una serie di misteri e colpi di scena
tra borghesi illuminati (ancorché bianchi) come sono gli Armitage e i loro ricchi invitati.
Almeno fino a quando la festa è finita e Chris resta solo con la fidanzata e i suoi familiari. A questo punto una serie di colpi di scena rovescia la situazione (e il tono del film) aprendo le porte a una deriva molto più drammatica. Da questo punto in poi, il film diventa più «prevedibile», meno «sorprendente», ma questo non toglie che almeno fino a quel momento, Peele abbia lanciato allo spettatore una serie di spunti di riflessione tutt’altro che banali e che mettono in discussione il cambiamento che la doppia presidenza Obama avrebbe dovuto significare per il Paese. La battuta del padre sulla sua voglia di rivotarlo per una terza volta perde ogni connotazione umoristica per diventare lo specchio di una società che si rivela progressista (o meglio: antirazzista) solo a parole. E alla fine, dopo una adrenalinica serie di ribaltamenti di fronte, allo spettatore resta comunque il dubbio che certi cambiamenti nella società americana siano molto difficili da portare a compimento. Soprattutto tra i ricchi e i potenti.