Cabrini sicuro «Una caduta che non fa male Qui c’è tutto per il Triplete»
Non è successo niente o quasi, solo uno spiacevole contrattempo. Antonio Cabrini ne è convinto. «Perché la Juve è la Juve, sa reagire meglio di chiunque, e poi non si stanca mai di vincere. È questa la differenza rispetto agli altri, è sempre stato così: la sconfitta con la Roma non cambia nulla, lo scudetto lo vinciamo di nuovo noi, punto e basta». È passato un pezzo dall’89 quando giocò l’ultima delle sue 297 partite in bianconero, ma Antonio, sessant’anni a ottobre, dal 2012 c.t. della Nazionale femminile, dice ancora «noi». «Be’, la chiave di tutto in fondo è proprio questa».
In che senso?
«Filosofia, Dna, mentalità vincente, orgoglio, senso della storia, carattere. Quando arrivi alla Juve capisci o non capisci, non c’è via di mezzo: sei lì per vincere, se non vinci hai fallito. Alla Juve fallire non si può».
È così certo che il k.o. di domenica non lascerà strascichi? Nemmeno in chiave Coppa Italia?
«Io non credo. Certo, è una partita secca, ma i bianconeri erano e restano un passo avanti rispetto alla Lazio».
Da allenatore, come si gestisce una situazione così?
«Stando sereni, solo quello. Ma Allegri sa bene cosa fare».
Quanto conta Allegri?
«Ecco, è proprio questo il punto, alla Juve non vince uno solo: ognuno fa il suo, perché è lì per quello. Max è stato grandioso, tatticamente e psicologicamente».
Insistiamo: dovesse scegliere un protagonista?
«Allora ne dico due: Bonucci, cruciale, un leone, se serve fa pure l’attaccante. E poi Buffon. Lui è la Juve»
Da Pallone d’oro?
«Da anni, non da adesso. Bisognerebbe darne uno per ogni ruolo, altrimenti per forza va sempre a un attaccante. Ma io dico che se si porta a casa la Champions...».
Se la porta a a casa?
«Sì, io dico di sì. Ora questa squadra ha davvero tutto, so-
prattutto la personalità internazionale, quella che era mancata due anni fa contro il Barcellona. Poi, chiaro, di là c’è il Real Madrid, è evidente che siamo cinquanta e cinquanta. Ma io dico Juve».
Domani la Coppa Italia, poi il campionato, quindi la Champions. Questa squadra vale l’Inter del Triplete 2010?
«A me i confronti di questo genere, temporali, generazionali, non piacciono. Non sono onesti. Così come non riesco a paragonarmi io a un giocatore di oggi, o la mia Juve di allora a quella di oggi. Ogni tempo ha il suo tempo. Ma la Juve ha qualcosa di quell’Inter, sì. Corsa, abnegazione, sacrificio, è un organismo compatto».
Mancano ancora due partite vere, due finali. Lei c’era nell’83, il tiro di Magath che vi costò la Coppa Campioni...
«Io sì, ma non conta. Quasi tutti questi ragazzi non erano neanche nati».
L’ultima. L’impressione è che Allegri sia stimato ma non amato. Meno di Conte, ad esempio, che pure ha vinto meno. Perché?
«Forse perché Antonio aveva anche giocato, perché lo percepivano ancora come un giocatore. Forse. Ma vedrete che ameranno anche Max. Dategli venti giorni».