Laura Biagiotti pioniera della moda
Oggi i funerali della stilista Il futuro nella mani di Lavinia
Visse d’arte, archeologa per formazione di studi e stilista per destino, collezionista d’opere futuriste grazie al gusto sicuro e lettrice coltissima che all’uscita finale in passerella preferiva la compagnia dei libri della sua biblioteca e dei suoi cani, tutti trovatelli (e magari una puntata di «Beautiful»): Laura Biagiotti, scomparsa alle 2.47 di giovedì notte a Roma per le conseguenze d’un attacco cardiocircolatorio che l’aveva colpita mercoledì sera (era sopraggiunta quasi subito la morte cerebrale per anossia) aveva soltanto 73 anni: oggi i funerali a Roma. È stata «la regina del cashmere» (secondo il New York Times) ma soprattutto fu tra i principali pionieri della moda italiana come il mondo la conosce oggi.
La romana cosmopolita che sfilò in Cina nel 1988 e al Cremlino nel 1995, mecenate del restauro delle opere d’arte della sua città: figlia di Delia Soldaini Biagiotti che aveva una bella sartoria romana, Laura Biagiotti giovanissima accantonò l’archeologia, prese in mano il business di famiglia e lo trasformò in impresa internazionale. Un’azienda di donne (fondata da sua madre diretta da lei e, dal 2005, in collaborazione con l’adorata figlia Lavinia, che è vicepresidente).
A Lavinia — che aveva perso il papà Gianni Cigna da ragazzina, ventun anni fa — la legò un rapporto di amore assoluto e assoluta fiducia: colleghe e amiche e complici, stiliste e imprenditrici e golfiste e amiche degli animali abbandonati. Lavinia e Laura che vivevano nella stessa casa-castello, capolavoro che Laura comprò negli anni 70 diroccato e riportò all’originario splendore.
A Lavinia, al momento dell’ingresso in azienda, diede soltanto un diktat: «Correttezza», che per lei era il cuore del business. In un mondo spesso cattivello come quello della moda di Laura Biagiotti si sentiva dire soltanto che era «una signora», o «una gran signora». Incapace di sparlare dei colleghi come di vantarsi d’aver avuto per prima, decenni fa, idee imprenditoriali oggi normali nella moda, bisognava estorcerle ricordi deliziosi sulle clienti come «il presidente Nancy Reagan che conobbi con suo marito Ronald» o come Diana Vreeland, regina di Harper’s Bazaar, che prima di far fotografare i suoi abiti le chiese in prestito delle opere d’arte per il set. Raccontava della cortesia dei coniugi Gorbaciov e delle visite a casa sua della signora Gromyko, moglie del ministro degli Esteri sovietico che per un trentennio dominò la Guerra Fredda ma con la consorte da «Signor Nyet» diventava mansueto.
La signora Biagiotti architettò tra gli anni 70 e 80 l’espansione a Est della moda italiana, periodo irripetibile nel quale gli stilisti delle sfilate di Milano — i Missoni, Krizia — decidevano il calendario con una telefonata (e quando la signora lasciò la sua consulenza con Loewe segnalò alla casa un italiano sconosciuto per il quale prevedeva un grandissimo avvenire: Giorgio Armani). La lezione che lascia Laura Biagiotti è che la moda italiana non ha confini, che più è italiana e più funziona.
Ci lascia le immagini di decenni di sfilate con abiti e maglie che voleva morbidi come una carezza — nelle mille sfumature del bianco, il suo colore, o rosso incandescente — per coccolare le donne che vedeva tanto forti quanto luminose.
Il mondo del beauty ricorderà i profumi di successo dedicati a Roma, ma riservò a Milano affetto sincero. La politica — dal presidente del Consiglio Gentiloni a Matteo Renzi a Laura Boldrini fino al sindaco di Milano Sala — le ha reso omaggio, Roma la saluterà stamane alle 11 a Santa Maria degli Angeli. E a Milano prestò, con la solita generosità, una delle cose più belle viste all’Expo 2015. Il suo «Genio Futurista» di Giacomo Balla, gloriosa esplosione di schegge tricolori che incantò milioni di visitatori: di Balla, fu grande collezionista e prestò, felice, le opere alle mostre sul Futurismo da New York a Tokyo.
Costruì il suo piccolo, squisito museo domestico in un trentennio, con gioia, per caso: «Una visita in una piccola galleria romana, nel 1986 — spiegò a la Lettura illustrando la sua collezione nel castello di Guidonia —. Mi piacque davvero tanto, Balla: uscimmo e mio marito mi disse semplicemente “comprali”».