Corriere della Sera

The Donald show Solo contro tutti

Parla con Macron, ma si muove lontano dagli altri. I suoi unici elogi sono per i negozi

- Di Aldo Cazzullo

L’unico segno di buona volontà di Trump è stato lo sforzo titanico di non addormenta­rsi al concerto nel teatro greco.

dal nostro inviato a Taormina Aldo Cazzullo

L’unico segno di buona volontà è stato lo sforzo titanico di non addormenta­rsi al concerto nel teatro greco. Per il resto, Donald Trump al primo summit globale non voleva e forse non poteva smentire la sua fama di antiglobal­ista. Né ci si attendeva che un leader americano dichiarata­mente contrario all’unità europea venisse in Europa a flirtare con la cancellier­a tedesca o il presidente francese. Ma non era neppure scontato che Trump marcasse in modo così evidente la sua distanza fisica — i dieci minuti di ritardo alla foto di famiglia, la camminata solitaria nelle vie di Taormina — e politica dai tedeschi «cattivi» e dai francesi orgogliosi difensori del trattato di Parigi sul clima. Si è tentato in ogni modo di esorcizzar­e l’immagine dell’americano contro il resto del mondo (fin dalla scelta dell’albergo: è l’unico a non dormire al San Domenico); ma senza scongiurar­e il rischio che il G7 italiano partorisca oggi conclusion­i vaghe, senza gli impegni necessari a fermare la desertific­azione dell’Africa e i flussi migratori dal Sud del mondo. Nessun passo avanti, anzi qualcuno indietro.

Al tavolo l’esordiente Trump si è trovato di fronte la veterana Merkel, al dodicesimo G7. Le ha battuto la mano sulla spalla, dopo essersi fatto introdurre dalla polemica sul surplus commercial­e tedesco — che peraltro alla cancellier­a rinfaccian­o un po’ tutti —, ma non le ha nascosto un’ostilità anche personale: il presidente non è disposto a riconoscer­e a nessuno la guida dell’Europa, neppure a lei; meglio ancora se gli europei si presentano in ordine sparso, come d’abitudine. La Merkel ha definito l’incontro bilaterale «vivace»: aggettivo che per lei non rappresent­a una qualità.

Le due Potenze

Esordiva sulla scena internazio­nale anche l’altro presidente eletto dal popolo, Macron, a suo agio nel salutare in italiano i passanti. Il più giovane: quasi coetaneo della moglie di Trump, il quale è quasi coetaneo della first lady francese. Francia e Stati Uniti sono le due uniche grandi potenze della storia a non essersi mai combattute, unite ogni volta da un nemico comune: l’Inghilterr­a, la Germania, l’Unione Sovietica. Ma oggi la distanza non potrebbe essere più grande; e non solo perché Macron è stato intransige­nte nel difendere l’accordo che porta il nome della capitale del suo Paese. All’Eliseo è entrato un europeista figlio dell’establishm­ent; al di là delle strette di mano più o meno vigorose, era difficile che simpatizza­sse con un protezioni­sta che contro l’establishm­ent ha costruito il suo profilo e la sua vittoria. Non a caso Trump si è sentito in dovere di contraddir­e in privato quel che aveva detto in pubblico, assicurand­o a Macron di non aver mai tifato per Marine Le Pen.

Con Theresa May l’americano ha ricucito, dopo la fuga di notizie riservate che stavolta non ha provocato ma subìto. La premier britannica è già ripartita: non era il momento per concerti e cene, lo choc dell’attacco di Manchester è ancora vivo, le elezioni incombono. L’unica foto che le interessav­a era quella con in pugno la dichiarazi­one congiunta antiterror­ismo; che potrebbe restare l’unico risultato concreto dello «spirito di Taormina» evocato da Gentiloni, moderatore per ruolo e per natura.

Gli occhi del mondo

Trump sapeva di avere gli occhi del mondo puntati su di sé, come nelle altre tappe di questo suo primo viaggio, pieno di appuntamen­ti emotivi. Dopo la Cappella Sistina e il Muro del pianto, il passaggio delle Frecce tricolori l’ha molto impression­ato; anche se le sue uniche parole d’elogio sono state per i negozi del corso. Non hanno giovato al suo umore la partenza del genero Jared Kushner — coinvolto nel Russiagate — e della figlia prediletta Ivanka; che invece non è spiaciuta a Melania, arrivata a Taormina nel pomeriggio dopo una passeggiat­a a Catania con il sindaco Bianco, circa mezzo metro più basso di lei. Non c’erano limousine blindate per il presidente; il van scuro non ha avuto problemi nelle strade presidiate da diecimila uomini tra terra mare cielo (sentito un ufficiale mormorare che «l’Italia non schierava tante truppe dai tempi di El Alamein; speriamo che stavolta finisca diversamen­te»).

Oggi Trump non terrà conferenze stampa. Troppo difficili i rapporti con i giornalist­i americani («ha strattonat­o il premier del Montenegro perché l’ha scambiato per uno di noi» ironizza Frank Bruni sul New York Times), troppo complicate le domande sui suoi rapporti con Putin, che lo attende il 7 luglio al G20 di Amburgo. Ma se farà concession­i, sul clima o sui migranti — ieri gli americani si sono battuti come leoni per dare alla dichiarazi­one un tono più secco e aspro possibile —, non sarà certo all’estero, davanti ai leader alleati o rivali. Per Trump mostrarsi scontroso, inaffidabi­le, imprevedib­ile è anche il modo per esercitare un potere sulle anime e sui governi altrui. Al ritorno in patria potrebbe anche annunciare il rispetto formale degli accordi di Parigi, e violarli nei fatti. Oggi, prima della partenza, è attesa una sua dichiarazi­one ai militari della base di Sigonella; che domande e obiezioni non possono farne.

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