La trattativa, i dubbi
I timori di Napolitano sulla legislatura
C’è un motivo se Giorgio Napolitano non comprende la ratio della trattativa sulla riforma del sistema di voto.
La scelta di un modello elettorale discende sempre da un’idea di sistema politico: è lo strumento per realizzarlo. Perciò colpisce il modo rapido e per certi versi sbrigativo in cui alla Camera si sta passando dal maggioritario al proporzionale come nulla fosse, come se le due opzioni non prefigurassero un radicale mutamento di scenario, che a sua volta farebbero mutare natura e ragione sociale dei partiti.
Insomma, c’è qualcosa che non torna. E il presidente emerito della Repubblica — preoccupato per una fine anticipata della legislatura — non vorrebbe che la discussione sulla riforma elettorale diventasse l’innesco per la deflagrazione degli attuali equilibri, che fosse utilizzata proprio per arrivare al voto subito. Anche perché a più riprese, e pubblicamente, ha evidenziato le responsabilità a cui sono chiamati di qui ai prossimi mesi il Parlamento e soprattutto le forze di maggioranza: un chiaro riferimento agli impegni di finanza pubblica.
Prima di esprimersi Napolitano attende di capire, mentre osserva il dibattito sui vitalizi dei parlamentari che gli appare un (altro) modo di rincorrere l’antipolitica. E non c’è dubbio che se i suoi timori sulla riforma elettorale dovessero prendere corpo, farebbe sentire la sua voce in Parlamento. D’altronde il repentino cambio da un modello all’altro rivela problemi di assestamento dentro i partiti, nonostante sul proporzionale si stiano saldando i principali gruppi.
Però qualcosa (ancora) non torna. E se in Forza Italia il fuoco cova sotto la cenere, nel Pd Delrio ha provveduto ad intestarsi l’area del dissenso, incurante della reprimenda subita da Renzi questa settimana. Il ministro delle Infrastrutture, in vista della direzione sta ponendo una questione di linea politica e di prospettiva per i democrat, ribadendo la sua contrarietà al modello preferito da Berlusconi. È la punta dell’iceberg delle difficoltà interne al Pd, dove una parte dei parlamentari — anche vicini al segretario — è ostile al patto con il Cavaliere anche per una questione più prosaica: con il maggioritario saprebbero in anticipo chi verrebbe eletto, con il «tedesco» no, specie nei listini bloccati. Se si pensassero durante un voto a scrutinio segreto, rischierebbe di saltare tutto.
Non aveva l’aria contenta giorni fa Verdini mentre preannunciava che il percorso della riforma in Parlamento «sarà disseminato di insidie». Lo aveva spiegato al suo gruppo dirigente e forse anche a Renzi, con il quale aveva avuto una conversazione al termine della quale era giunto a un preciso convincimento: «Il suo interesse è andare al voto anticipato. Punto». Come dire che al capo del Pd non interessa il colore del gatto ma che si acchiappi il topo, «anche se temo che Matteo alla fine non riuscirà ad andare alle elezioni e si ritroverà con una pessima legge elettorale».
Il «topo» intanto glielo sta mostrando Berlusconi, che al telefono racconta del «gioioso impegno» con cui sta aderendo alle richiesta di Renzi, convinto com’è del voto anticipato «in ottobre anzi già a settembre», determinato a tenere al 5% lo sbarramento, e pronto a giurare che «i miei gruppi parlamentari saranno compatti». Al patto, al patto. A patto che il Pd alla Camera voti a favore del suo emendamento, per trasformare la zucca in una carrozza, il maggioritario in proporzionale.
Sarà un evento epocale, come il voto in Bicamerale ai tempi di D’Alema, o come la foto per le scale del Nazareno di Berlusconi. Cambiano gli interpreti ma lui c’è sempre. E poco importa se stavolta, insieme al segretario del Pd, terranno riservata la loro foto. A Salvini basterà quell’atto pubblico, a cui peraltro farà da testimone insieme ai grillini. «Che si abbraccino e si bacino, basta che si torni a votare», diceva ieri il capo della Lega. Tanto la sua campagna elettorale (e quella dei Cinquestelle) è già fatta.
Raccontano che il cerimoniere del primo patto, cioè Verdini, abbia frequenti sbalzi di umore in questi giorni perché non si capacita di quanto sta accadendo e di quanto accadrà. «Con il proporzionale Renzi e Berlusconi non avranno i numeri per fare il governo», ha sussurrato riguardando le simulazioni di voto che aveva offerto anche al leader del Pd. Niente da fare: «Ma così, tempo sei mesi e si tornerà a votare». Parte la giostra: al patto e alle elezioni. Forse.
I dem preoccupati Con il maggioritario si saprebbe chi verrebbe eletto, con il proporzionale no