Il grande solco sull’ambiente
Un consigliere: «Anche a Trump sta a cuore, ma non sopporta l’avanzata di Cina e India»
Il generale Raymond Herbert McMaster, consigliere per la sicurezza nazionale, la mette in questi termini parlando con i giornalisti al seguito di Donald Trump: «Il presidente sta ascoltando molto, vuole capire quale sia la posizione dei nostri alleati». Poi aggiunge una frasetta con una sottile, ma chiara contraddizione interna: «C’è grande rispetto… da tutte e due le parti». Ed è vero: la prima giornata del G7 di Taormina è vissuta sulla contrapposizione, come era già successo giovedì scorso nel vertice Nato di Bruxelles. Il muro Usa su clima e commercio costruito dal trentenne Stephen Miller
Trump da una parte, qualche volta con Theresa May; gli europei più il premier canadese, Justin Trudeau, dall’altra. Le linee di frattura sono profonde, anche se stasera, probabilmente, si troverà un modo di mascherarle nel comunicato finale.
Il commercio «giusto»
Il premier Paolo Gentiloni ha guidato l’esplorazione sui rapporti commerciali. La cancelliera Angela Merkel ha provato ancora una volta a riesumare il negoziato sul Ttip, il Trattato commerciale transatlantico. Il neopresidente francese, Emmanuel Macron, si è aggiunto di rinforzo. Hanno fatto la stessa cosa i due «pesi piuma» seduti intorno al tavolo: JeanClaude Juncker e Donald Tusk, i presidenti di Commissione e Consiglio europeo. Trump li ha lasciati parlare a lungo, poi si è limitato a ripetere lo slogan della campagna elettorale, come ha riferito il suo consigliere economico Gary Cohn: «Io sono per il libero commercio, ma deve essere corretto, bilanciato. Noi restituiremo ai nostri partner lo stesso trattamento che riceviamo da loro». È uno scontro tra due visioni radicalmente diverse che non si sono affatto avvicinate nelle ultime settimane. Francia, Germania, Italia e anche Canada vorrebbero proseguire con il modello degli accordi multilaterali, aperto a più Paesi possibili. Trump, invece, considera quel tipo di intese una trappola per gli Stati Uniti. Vuole negoziati bilaterali. Ieri, su questo, si è trovato in perfetta sintonia con la premier britannica Theresa May. Due giorni fa a Bruxelles aveva risposto ruvidamente a Juncker e a Tusk nell’incontro riservato: mai più intese collettive. A Taormina è stato solo un po’ più diplomatico. Ma la sostanza non cambia.
Ambiente tossico
Più o meno lo stesso schema sull’ambiente. Mercoledì scorso, nel corso della sua tappa romana, Trump aveva chiesto a Gentiloni di non trasformare il G7 in un processo al «grande inquinatore di ritorno», cioè gli Stati Uniti. L’assedio, comunque, c’è stato. Qui è Macron a tirare il gruppo, sollecitando Trump a non polverizzare anni di sforzi mondiali cristallizzati nell’accordo di Parigi, sottoscritto anche dall’allora presidente Barack Obama. La riduzione delle emissioni di gas è considerata vitale da legioni di scienziati e alcuni Paesi, Germania in testa, hanno già avviato un processo di riconversione energetico-industriale anche con interessanti ritorni economici. Ma Trump ha in mente un altro mondo. Un grande mondo antico. Certo, anche a lui «sta a cuore l’ambiente». Però non può «restare a guardare» mentre «Cina e India conquistano posizioni nella manifattura mondiale, spiazzando le produzioni americane». In ogni caso nessuna decisione finora: «Ci devo pensare, vi faccio sapere quando torno a casa», ha detto il presidente americano, pietrificando il leader francese e tutti gli altri.
Migranti o sicurezza
Pochi risultati concreti in vista anche sull’immigrazione. Gentiloni ha parlato di «un buon compromesso», facendo riferimento alla prima fase della discussione che continuerà oggi. In realtà Trump ha concesso solo qualche formula generica sulla necessità di «tutelare le donne a rischio e i minori non accompagnati». Ma nel testo che sta maturando si precisa che ogni Paese ha diritto di condurre «politiche sull’immigrazione nel proprio interesse nazionale». Questo significa che gli americani si sfilano da ogni piano ambizioso di coordinamento internazionale. Trump non ha alcuna intenzione di farsi imbrigliare dagli europei sul Muro o sul «Muslim ban»: bastano e avanzano i giudici e i parlamentari americani.
Il punto di fondo è che la Casa Bianca non intende distinguere tra migrazione e sicurezza. Secondo il magazine Foreign Policy, gli sherpa europei avrebbero trovato un ostacolo invalicabile: Stephen Miller, 31 anni, consigliere del «team estremisti» capeggiato da Steve Bannon.
Dietro le quinte