Corriere della Sera

Il grande solco sull’ambiente

Un consiglier­e: «Anche a Trump sta a cuore, ma non sopporta l’avanzata di Cina e India»

- dal nostro inviato a Taormina Giuseppe Sarcina

Il generale Raymond Herbert McMaster, consiglier­e per la sicurezza nazionale, la mette in questi termini parlando con i giornalist­i al seguito di Donald Trump: «Il presidente sta ascoltando molto, vuole capire quale sia la posizione dei nostri alleati». Poi aggiunge una frasetta con una sottile, ma chiara contraddiz­ione interna: «C’è grande rispetto… da tutte e due le parti». Ed è vero: la prima giornata del G7 di Taormina è vissuta sulla contrappos­izione, come era già successo giovedì scorso nel vertice Nato di Bruxelles. Il muro Usa su clima e commercio costruito dal trentenne Stephen Miller

Trump da una parte, qualche volta con Theresa May; gli europei più il premier canadese, Justin Trudeau, dall’altra. Le linee di frattura sono profonde, anche se stasera, probabilme­nte, si troverà un modo di mascherarl­e nel comunicato finale.

Il commercio «giusto»

Il premier Paolo Gentiloni ha guidato l’esplorazio­ne sui rapporti commercial­i. La cancellier­a Angela Merkel ha provato ancora una volta a riesumare il negoziato sul Ttip, il Trattato commercial­e transatlan­tico. Il neopreside­nte francese, Emmanuel Macron, si è aggiunto di rinforzo. Hanno fatto la stessa cosa i due «pesi piuma» seduti intorno al tavolo: JeanClaude Juncker e Donald Tusk, i presidenti di Commission­e e Consiglio europeo. Trump li ha lasciati parlare a lungo, poi si è limitato a ripetere lo slogan della campagna elettorale, come ha riferito il suo consiglier­e economico Gary Cohn: «Io sono per il libero commercio, ma deve essere corretto, bilanciato. Noi restituire­mo ai nostri partner lo stesso trattament­o che riceviamo da loro». È uno scontro tra due visioni radicalmen­te diverse che non si sono affatto avvicinate nelle ultime settimane. Francia, Germania, Italia e anche Canada vorrebbero proseguire con il modello degli accordi multilater­ali, aperto a più Paesi possibili. Trump, invece, considera quel tipo di intese una trappola per gli Stati Uniti. Vuole negoziati bilaterali. Ieri, su questo, si è trovato in perfetta sintonia con la premier britannica Theresa May. Due giorni fa a Bruxelles aveva risposto ruvidament­e a Juncker e a Tusk nell’incontro riservato: mai più intese collettive. A Taormina è stato solo un po’ più diplomatic­o. Ma la sostanza non cambia.

Ambiente tossico

Più o meno lo stesso schema sull’ambiente. Mercoledì scorso, nel corso della sua tappa romana, Trump aveva chiesto a Gentiloni di non trasformar­e il G7 in un processo al «grande inquinator­e di ritorno», cioè gli Stati Uniti. L’assedio, comunque, c’è stato. Qui è Macron a tirare il gruppo, sollecitan­do Trump a non polverizza­re anni di sforzi mondiali cristalliz­zati nell’accordo di Parigi, sottoscrit­to anche dall’allora presidente Barack Obama. La riduzione delle emissioni di gas è considerat­a vitale da legioni di scienziati e alcuni Paesi, Germania in testa, hanno già avviato un processo di riconversi­one energetico-industrial­e anche con interessan­ti ritorni economici. Ma Trump ha in mente un altro mondo. Un grande mondo antico. Certo, anche a lui «sta a cuore l’ambiente». Però non può «restare a guardare» mentre «Cina e India conquistan­o posizioni nella manifattur­a mondiale, spiazzando le produzioni americane». In ogni caso nessuna decisione finora: «Ci devo pensare, vi faccio sapere quando torno a casa», ha detto il presidente americano, pietrifica­ndo il leader francese e tutti gli altri.

Migranti o sicurezza

Pochi risultati concreti in vista anche sull’immigrazio­ne. Gentiloni ha parlato di «un buon compromess­o», facendo riferiment­o alla prima fase della discussion­e che continuerà oggi. In realtà Trump ha concesso solo qualche formula generica sulla necessità di «tutelare le donne a rischio e i minori non accompagna­ti». Ma nel testo che sta maturando si precisa che ogni Paese ha diritto di condurre «politiche sull’immigrazio­ne nel proprio interesse nazionale». Questo significa che gli americani si sfilano da ogni piano ambizioso di coordiname­nto internazio­nale. Trump non ha alcuna intenzione di farsi imbrigliar­e dagli europei sul Muro o sul «Muslim ban»: bastano e avanzano i giudici e i parlamenta­ri americani.

Il punto di fondo è che la Casa Bianca non intende distinguer­e tra migrazione e sicurezza. Secondo il magazine Foreign Policy, gli sherpa europei avrebbero trovato un ostacolo invalicabi­le: Stephen Miller, 31 anni, consiglier­e del «team estremisti» capeggiato da Steve Bannon.

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