Corriere della Sera

Voucher, il governo va avanti. Mdp in trincea

Depositato l’emendament­o con i nuovi buoni. Riguardera­nno anche le imprese sotto i 5 dipendenti Gli ex scissionis­ti: «Così la fiducia sulla manovrina non la votiamo». I numeri in bilico del Senato

- L. Sal.

L’emendament­o della discordia viene depositato alla Camera alle undici di sera. Non porta la firma del governo e nemmeno del relatore, Mauro Guerra del Pd, nel vano tentativo di proteggere l’esecutivo dalle polemiche già ampiamente in corso. È la riformulaz­ione di una proposta di modifica già presentata dal Pd. La sostanza, però, non cambia. I nuovi voucher — sparito il nome PrestO, da prestazion­e occasional­e — non riguardano solo le famiglie ma anche le imprese con meno di 5 dipendenti. Ci sono limiti più severi rispetto ai vecchi buoni, cancellati per decreto dal governo appena due mesi fa per stoppare il referendum della Cgil che si sarebbe tenuto domani. Ma per lo scontro politico sono solo dettagli.

Mdp, il partito di Bersani e D’Alema nato dalla scissione del Pd, dice no senza se e senza ma. «Se c’è il ritorno dei Presidio Sotto, il presidio della Cgil il 19 aprile scorso al Pantheon, in occasione del voto al Senato per convertire in legge il decreto per abrogare i voucher voucher, la fiducia non la votiamo», avverte Arturo Scotto. Perplessit­à anche nella corrente del Pd che fa capo al ministro Andrea Orlando, che però, sul voto di fiducia, finirebbe per dire sì. La Cgil parla di «gran pasticcio» e minaccia il ricorso alla Corte costituzio­nale. Mentre i centristi della maggioranz­a premono per un intervento che riguardi anche le imprese. Alla fine la linea del Pd, e del governo, sembra questa. Anche se sorprese e cambi di direzione sono sempre possibili.

Il voto di fiducia è scontato perché la manovrina sui conti pubblici — che contiene la norma sui nuovi voucher — è un decreto legge e i tempi sono già stretti. Alla Camera i numeri per passare ci sono, anche senza Mdp. Al Senato il margine è molto più risicato. Ed è lì che, in caso di vittoria del no sul voto di fiducia, si potrebbe aprire la strada per la crisi di governo e le elezioni anticipate. Il segretario del Pd, Matteo Renzi, smentisce di essere lui a voler usare i nuovi voucher come casus belli per far cadere il governo di Paolo Gentiloni e ottenere il voto a ottobre. «Paolo mi ha chiesto una mano, dopo aver deciso di tirare dritto, per chiudere sulla soluzione trovata dal governo e il Pd ha lavorato in questa direzione, altro che sfasciare». Ma il caso ha lasciato il segno.

Salvo sorprese, sembra ormai archiviata l’idea di sospendere tutto, limitare i nuovi voucher solo alle famiglie. E discutere della misura dedicata alle imprese insieme ai sindacati Renzi smentisce di cercare il «Gentiloni mi ha chiesto una mano» per poi procedere con un nuovo decreto legge che però non avrebbe la certezza di arrivare a destinazio­ne, vista la paura estiva, la Legge di Bilancio che impegnereb­be il Parlamento alla ripresa e, naturalmen­te, l’incognita del voto anticipato. Anche se Renzi, a giochi fatti, rimprovera al ministro Giuliano Poletti di non aver coinvolto abbastanza i sindacati.

Nel merito, i nuovi voucher riguardere­bbero le aziende al di sotto dei cinque dipendenti, con l’esclusione dell’edilizia. Prevedono un tetto di pari a 5 mila euro l’anno per la singola impresa e di 2.500 euro l’anno per il singolo lavoratore. In caso di sforamento dei limiti, scatta l’obbligo di assunzione con contratto stabile. Il valore è di 12,50 euro lordi l’ora, leggerment­e più alto dei 10 euro l’ora dei vecchi voucher.

Il leader dem

Il referendum viene fissato per il 28 maggio 2017, ma a metà aprile viene approvato il decreto che abolisce i buoni e reintroduc­e la responsabi­lità solidale negli appalti. Pochi giorni dopo, la Cassazione stabilisce lo stop ufficiale della consultazi­one

Il governo prende comunque in consideraz­ione la possibilit­à di introdurre dei surrogati dei voucher, da prevedere per le sole imprese. Le caratteris­tiche sono in parte diverse dai voucher precedenti, ma scoppia la polemica

Mdp minaccia di uscire dalla maggioranz­a. L’accusa è che con il decreto si reintroduc­a uno strumento che era stato già cancellato dal governo

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