Corriere della Sera

Risorge la fabbrica dell’oro bianco

Per iniziativa di Fai ed Eni ristruttur­ate (e aperte al pubblico) le Saline Conti Vecchi, in Sardegna. Un ritorno al sogno del fondatore

- di Alberto Pinna

«Promuove l’amore per l’ambiente, vigila sulla tutela dei beni paesaggist­ici, cura in Italia luoghi speciali...», è scritto nella carta fondativa del Fai. E accostare il Fondo Ambiente Italiano all’Eni può apparire come mettere insieme acqua santa e diavolo. Invece da ieri le Saline Conti Vecchi ad Assemini — fra le più grandi d’Europa — sono un esempio, rarissimo, di un luogo di produzione industrial­e che convive con la natura. Aperto da subito al pubblico, con percorsi guidati, suggeriti o liberi fra chiuse, argini, enormi montagne di «oro bianco» e stormi di fenicotter­i rosa.

Le Saline sono un sito speciale. Tutto ciò che l’uomo ha costruito intorno alla laguna di Santa Gilla (più di 5 mila ettari) è il contrario di ciò che aveva sognato il fondatore, Luigi Conti Vecchi. Generale dell’Esercito, finita la Grande Guerra, a 70 anni si presentò al governo con un progetto ardito: bonificare lo stagno, sconvolto dalle inondazion­i, impiantand­o una fabbrica di sale. Quel «pazzo visionario» riuscì ad avere dallo Stato 2,5 milioni di lire e la concession­e per 90 anni di 2.700 ettari, terreni e stagni. Le Saline cominciaro­no a produrre nel 1931, il generale morì qualche anno prima e scrisse nel testamento che aveva concepito il suo progetto perché «gli uomini vivessero secondo natura».

Ma dopo gli anni d’oro (500 addetti, mille stagionali, un villaggio modello intorno alla fabbrica con case e servizi d’avanguardi­a per gli operai) la decadenza e verso il 1960 l’era del «dio petrolio». Lo stagno di Santa Gilla è diventato uno dei simboli, assieme a Porto Torres e Ottana, di uno sviluppo senza controlli, con spreco di denaro elargito ad «avventurie­ri predatori di soldi pubblici e ambiente», parole del presidente della Regione Sardegna Francesco Pigliaru. A Santa Gilla «la Sir di Rovelli ha inquinato quanto poteva inquinare», così Marco Magnifico, vicepresid­ente esecutivo del Fai. Rovelli ha anche «divorato» le Saline Conti Vecchi, acquistand­ole nel 1974 per un pugno di denari per utilizzare la soda nelle produzioni petrolchim­iche del vicino stabilimen­to Sir Rumianca, poco tempo prima che il suo impero fosse travolto dai debiti.

«Abbiamo investito 400 milioni in bonifiche per problemi creati da altri» ha voluto rimarcare l’amministra­tore delegato di Eni Claudio De Scalzi, che per le Saline Conti Vecchi (controllat­e da Syndial, a sua volta posseduta da Eni) ha tracciato un futuro ecososteni­bile: ancora sale, oltre 400 mila tonnellate di produzione annua, sempre più per uso alimentare e poi fotovoltai­co e solare a concentraz­ione.

Sarebbe un ritorno al sogno del generale fondatore: mare e vento, il maestrale che asciuga l’acqua delle chiuse, una «fabbrica» pulita. E anche sana, 50 milioni di fatturato e l’equilibrio di bilancio nel 2018. Il Fai farà la sua parte: racconterà la storia (multimedia­lità, accesso a laboratori, officine, archivi, ricostruzi­one degli edifici con arredi originali) di questa parte della Sardegna così diversa dallo stereotipo della Costa Smeralda, farà vedere i fenicotter­i e le altre 50 specie di uccelli che nidificano e svernano. E potrà mostrare a chi visiterà le Saline ciminiere e gigantesch­i alambicchi delle «cattedrali del deserto» che hanno seminato veleni nella laguna e forse, come accusa proprio in questi giorni la magistratu­ra cagliarita­na, continuano a farlo.

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Oggi Un’immagine attuale delle Saline Conti Vecchi di Assemini
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