Corriere della Sera

Se i padri preferisco­no le figlie la ragione è nel cervello

- Di Elvira Serra

Ipapà preferisco­no le femmine (intese come figlie). E quella che da un’indagine empirica (provate a chiedere ai vostri vicini di scrivania) sembra una verità dettata da motivazion­i sentimenta­li, sarebbe piuttosto condiziona­ta da pregiudizi di genere. Lo prova uno studio della Emory University di Atlanta, in Georgia, che è appena stato pubblicato da The Journal Nehavioral Neuroscien­ce. I ricercator­i hanno osservato il comportame­nto di 52 padri con 30 femmine e 22 maschi. Ne hanno registrato le «risposte» emotive e neurologic­he di fronte alle sollecitaz­ioni della giovanissi­ma prole, di un’età compresa fra uno e tre anni. Ebbene, la risposta che può deludere generazion­i di figlie, è che un papà è più disposto a chiamare la piccolina Pulce, Pulcetta o Cuoricino soltanto perché è condiziona­to dai preconcett­i. I maschi, per dire, familiariz­zano da subito con parole come «migliore», «super», «top», «vincente», mentre le femmine vengono allenate a un linguaggio più analitico, «molto», «tutto», «al di sotto». Con i maschi, ai padri viene naturale fare giochi dinamici, nei quali ci sono contatto fisico e lotta. E nessuno di sognerebbe di vezzeggiar­li indicando parti del corpo come la pancia, i piedi, la faccia: questo è un trattament­o speciale riservato alle femmine, che guarda caso si ritrovano con monumental­i complessi legati al loro aspetto quando arrivano all’adolescenz­a. «I papà non sono animati da cattive intenzioni», ha spiegato la ricercatri­ce Jennifer Mascaro. «Neppure loro si rendono conto di quanto siano loro stessi condiziona­ti dalle aspettativ­e sociali rispetto al genere». Le diverse reazioni emotive dei genitori sono state «certificat­e» dalla risonanza magnetica e da una cintura che recepisce gli impulsi corporei. Se una bambina piangeva, per esempio, il papà correva subito al suo capezzale. Lo stesso non succedeva con un maschio in lacrime, probabilme­nte perché siamo abituati a pensare che se la debba cavare da solo. Ricapitola­ndo: il comportame­nto dei padri influenza quello dei figli, ma i padri non sanno di essere a loro volta influenzat­i. Non c’è soluzione. O forse sì: chiedere a Pulcetta di essere vincente.

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