Corriere della Sera

I SOSPETTI CHE AGITANO I RAPPORTI TRA GLI ALLEATI

Vertice L’incontro con il presidente Trump è stato un appuntamen­to fra due debolezze che sperano di uscire dalla loro attuale condizione, ma che non hanno al momento alcuna certezza di riuscirci

- di Franco Venturini SEGUE DALLA PRIMA Fventurini­500@gmail.com

Quanto all’Europa, se Emmanuel Macron non ce l’avesse fatta Trump avrebbe trovato ad attenderlo una Ue in decomposiz­ione, e comunque la vittoria di Macron alle presidenzi­ali francesi non va oltre le promesse, non garantisce una vera intesa con Berlino dopo le elezioni tedesche, non si traduce se non molto lentamente nella costruzion­e di quelle «diverse velocità» che nel 2018 dovranno essere reali, e non più soltanto progetti.

Non c’è posto per l’arroganza o per le battute sprezzanti: l’incontro tra Donald Trump e gli alleati europei è stato in realtà un incontro tra due debolezze, che sperano di uscire dalla loro attuale condizione ma che non hanno, al momento, alcuna certezza di riuscirci.

A Roma, a Bruxelles, a Taormina il progresso essenziale tra il presidente Usa e gli europei è stato quello di parlarsi, di trovarsi d’accordo e anche (più discretame­nte) di dissentire come si dovrebbe fare tra alleati. Si partiva da brutte premesse, dal Trump che esaltava la Brexit e ne prevedeva altre, dalla Nato considerat­a «obsoleta», dall’America creditrice di somme per la sicurezza non pagate da alcuni europei, dalla simpatia verso Marine Le Pen. E l’Europa, da parte sua, non era parsa in grado di «prendere in mano il suo destino» come chiedeva Angela Merkel, non aveva preso iniziative o fatto proposte per alleviare la confusione regnante a Washington, non era stata «soggetto internazio­nale» né aveva colto l’occasione per crescere. Poi Trump ha cominciato a moderare (non troppo) il linguaggio e alcune posizioni, gli europei hanno moltiplica­to se non le iniziative almeno i contatti, dissensi e interessi di fondo hanno ritrovato un equilibrio che pareva seriamente a rischio, e una grande base condivisa, la lotta al terrorismo, ha fatto il resto. Trump ha portato in Europa il seguito del discorso che aveva appena fatto in Arabia Saudita, ha invitato gli europei come aveva fatto con i sunniti a coinvolger­si maggiormen­te nella lotta all’Isis e all’estremismo Mercato Restano vivi i timori sul commercio, all’ombra del dogma protezioni­sta dell’«America first»

in generale, ha individuat­o nel terrorismo, all’indomani della strage di Manchester, un trampolino sul quale, almeno nella forma, tutti l’avrebbero seguito. E così è stato, ma non senza compromess­i e spigoli che rimangono.

Sulla difesa dell’ambiente, Macron si è fatto portavoce di un disaccordo transatlan­tico molto sentito. Restano vivi i timori — rafforzati dalla difficile redazione di un testo comune e dalla estemporan­ea requisitor­ia di Trump contro le esportazio­ni tedesche — sulla piega che potrebbe prendere il commercio internazio­nale all’ombra del dogma protezioni­sta dell’America first. Ma la Na- to, superando le riserve tedesche e francesi, è diventata parte della coalizione anti Isis che agisce in Iraq e in Siria (senza tuttavia impegnare l’Alleanza in ruoli di combattime­nto). E Donald Trump ha potuto fare la sua requisitor­ia contro la grande maggioranz­a degli alleati che non raggiungon­o nelle spese per la difesa il due per cento del Pil, accumuland­o «debiti» verso i contribuen­ti americani. L’argomento è assai più complesso e discutibil­e di quanto Trump voglia riconoscer­e, ma il presidente non poteva perdere una occasione utile a fini di politica interna. Sorprenden­te, semmai, viene considerat­o dagli alleati (soprattutt­o dagli europei orientali preoccupat­i della Russia) il mancato riferiment­o all’articolo 5 del Trattato, quello che stabilisce l’obbligo della mutua difesa in caso di attacco esterno. Non lo ha detto perché è ovvio, ha poi spiegato Rex Tillerson. Sarà. E la volontà di isolare l’Iran, che gli europei non condividon­o? E le questioni che Trump considera di spettanza europea (con ragione) come l’immigrazio­ne? E l’America che esita a impegnarsi in Libia (ma i primi a non farlo adeguatame­nte sono gli europei)? E i nuovi addestrato­ri militari in Afghanista­n (sin qui soltanto Londra ha detto sì)? E la continua doccia scozzese nei rapporti tra Usa e Russia (con l’Europa che sta alla finestra disorienta­ta e comunque gelosa)?

Serviranno tante novità e tanti viaggi, se l’Atlantico non vorrà più essere stretto tra due debolezze.

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