Più se ne fanno, meglio è
Caro Aldo, il grande successo del Salone del Libro di Torino è l’innegabile testimonianza di quanto in Italia il piacere della lettura non sia accatastato sotto i cumuli del ciarpame mediatico e della cattiva informazione che disorientano nella scelta di prodotti culturali autentici. Certo è inconfutabile il dato che dice che gli italiani leggono sempre meno (più del 50% non ha aperto alcun libro nel 2016), ma credo sia confortante il fatto che iniziative importanti come la fiera del capoluogo piemontese riescano a intercettare l’interesse di una fetta sempre più ampia di affezionati alla carta stampata, al pensiero critico, alla disputa scientifica, all’empatia della poesia, al fascino intramontabile del romanzo. L’obiettivo, per i prossimi anni, spero sia quello di arrivare a catturare la curiosità e l’interesse di chi ancora diffida della modernità del pensiero veicolato dai libri, forse non riconoscendone la centrale importanza in una società sempre più virtuale e digitalizzata.
Piero Masiello, Legnano Caro Piero, come ci siamo detti il mese scorso, più saloni del libro si fanno, meglio è.
L’EX PREMIER
«Dalemoni era davvero meglio di Renzusconi?» Molto critico con Renzusconi, D’Alema ha rimosso il termine Dalemoni che coniò Giampaolo Pansa per bocciare gli inciuci tra l’avversario storico di Veltroni e Verdini? Legittime le critiche al senatore toscano, ma era più presentabile Misserville che Max imbarcò nel suo governo sia pure per pochi giorni? Con il «patto della crostata», D’Alema si impegnò a non spingere sull’inasprimento delle norme sul conflitto di interessi, affrontato dalla non molto severa legge Frattini. Berlusconi, grato, accettò di proseguire i lavori della Bicamerale, presieduta da Massimo, fino all’accordo finale che, tuttavia, saltò. I giornali scrissero di «tentativi di inciucio» anche all’epoca di due edizioni della corsa al Quirinale, in cui il fondatore di Forza Italia fu quasi convinto ad appoggiare D’Alema, fidandosene più di Ciampi e di Napolitano, poi ascesi al Colle.
Luca Zandoli, Cosenza Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579
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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere
Caro Aldo,
il primo ministro del Regno Unito Theresa May (ex ministro degli interni europeista) ha indetto elezioni anticipate per l’8 giugno, sperando di aumentare la sua maggioranza alla camera dei Comuni dopo la Brexit (votata da 17 milioni di cittadini su 46,5 aventi diritto). In compenso, Tony Blair (ex leader del Labour) ha lanciato agli elettori un messaggio molto chiaro in vista del voto del mese prossimo: non eleggere quei parlamentari che hanno sostenuto la Brexit a ogni costo, indipendentemente dal partito di appartenenza. Le alternative sarebbero due: o la May rinuncia alla Brexit, oppure ne accetta le conseguenze, compreso il ridimensionamento del sistema finanziario di Londra.
Purtroppo al centro delle elezioni inglesi non c’è l’uscita dall’Unione europea. Quella è stata decisa un anno fa, in modo temo irrevocabile. Del resto il Regno Unito in Europa è sempre stato con un piede solo. Non ha aderito a Schengen né alla moneta unica; e a Bruxelles andava più per sabotare che per costruire. Anziché rimpiangere il responso del referendum, sarebbe bene lavorare per rendere la Brexit più indolore possibile per gli europei che studiano o lavorano a Londra, in cambio della permanenza del Regno Unito (o di quel che ne resterà dopo l’uscita della Scozia) nel sistema di libero scambio europeo.
La vera posta in gioco nel voto dell’8 giugno è il rafforzamento del potere di Theresa May, a discapito delle resistenze interne ai conservatori e degli opposti populismi dello Ukip e del Labour. Nigel Farage, leader degli indipendentisti, Brescia: plastica «clandestina» fra bidoni blindati. Purtroppo qualcuno finge di non aver capito che il Comune ha un nuovo sistema per la raccolta differenziata dei rifiuti. Foto di Alberto Moreni. (Inviate le foto, ovviamente scattate da voi, a questi indirizzi: lettere@ corriere.it e su Instagram @corriere) si augurava una sconfitta di misura nel referendum. La vittoria ha di fatto esaurito la sua missione; non a caso si è dimesso dalla guida del partito, che torna nel chiuso della marginalità. E il massimalista Jeremy Corbyn, nonostante la ripresa nei sondaggi, rischia di guidare i laburisti a una sconfitta che farà rimpiangere il deprecato Tony Blair e pure la dignitosa tenuta di Gordon Brown nel 2010.
Theresa May è stata criticata per aver scelto il momento a lei più propizio per andare al voto. In effetti il premier britannico è tra i leader più stabili al mondo proprio in virtù di questo potere, negato ad esempio al presidente degli Stati Uniti, che può ritrovarsi fin da subito senza maggioranza al Congresso o perderla dopo soli 21 mesi alle elezioni di midterm. Quanto all’Italia, ancora non si sa quando si voterà, e con quale legge.